Ieri, martedi 9 febbraio è stato presentato il rapporto “People First” del Social Watch, una rete creata nel 1995 e che oggi conta membri in più di 60 Paesi in tutto il mondo, come «luogo di incontro per organizzazioni non governative operanti nel campo dello sviluppo sociale e della lotta alla discriminazione di genere, rispondendo alla necessità di promuovere la volontà politica di trasformare in realtà le promesse delle Nazioni Unite.
Il Social Watch ha messo a punto “L’indice sulla Parità di genere (GEI nell‘acronimo inglese)”, che consente di classificare e assegnare un posto ai Paesi in base a una serie di indicatori di disparità di genere che copre tre dimensioni: l’istruzione, la partecipazione all’attività economica e l’empowerment (concessione di pieni poteri alle donne).
Tale indice, per il 2009 dimostra che, nella maggior parte dei Paesi, il divario tra i generi non si stia riducendo, anzi gran parte di quelli dove c’è stato un progresso coincide con quelli che già si trovavano in una situazione migliore rispetto agli altri. La distanza tra Paesi nella migliore e peggiore situazione relativa si è ingrandita.
Nel campo dell’istruzione e dell’attività economica la situazione delle donne è migliorata, mentre in quello dell’empowerment nell’ultimo anno circa il 15% dei Paesi ha fatto dei passi indietro, e la regressione è stata così dura che il valore medio globale di questo indicatore è sceso dal 35% del 2008 al 34,5% del 2009.
Dallo studio è emerso che, per quanto riguarda la parità tra uomo e donna, l’Italia non brilla come esempio, anzi: il nostro paese, da questo punto di vista non solo non ha fatto progressi, ma è retrocesso. In una classifica di 172 paesi, l’Italia è al 72° posto (rispetto al precedente 70°), con un GEI di 64,5, ben al di sotto della media europea, pari a 72.
Così il nostro bel paese si trova dietro a paesi quali la Thailandia, l’Uganda o il Rwuanda che, per anni ha figurato tra i Paesi ove vige una maggiore parità tra i generi e, ha raggiunto il terzo posto, superando Germania e Norvegia. Neanche a dirlo, svettano in questa classifica la Svezia e la Finlandia.
Le cose non vanno meglio neanche in altri settori; il rapporto nazionale sull’Italia (elaborato dalla coalizione italiana Social Watch) afferma chiaramente che “L’Italia si sta rapidamente impoverendo“.
“La situazione del Paese è andata peggiorando sotto molti aspetti che riguardano i diritti fondamentali e quelli sociali economici e culturali, stando ai rilievi e alle analisi fatte dai principali centri di ricerca e statistica e dalle organizzazioni della società civile.
Non è solo la conseguenza della crisi finanziaria globale (i cui effetti reali si cominciano a registrare soltanto un anno dopo, mentre gran parte delle rilevazioni sono antecedenti), ma di politiche miopi, deboli e in molti casi discriminatorie”.
“Del disimpegno dello Stato nella protezione sociale ne fanno le spese lavoratori e pensionati, precari e disoccupati, giovani e anziani.
La lotta alla povertà in Italia passa per misure assistenziali molto parziali e di dubbia efficacia, come la Social Card o fondi promessi sulla base di un presunto ritorno dallo “scudo fiscale” per ammortizzatori sociali come cassa integrazione e strumenti da definire per i giovani precari e over-50 che si trovano improvvisamente senza lavoro”.
“A questo si aggiunge il fatto che l’Italia sta disattendendo gli impegni presi in sede ONU, a partire dagli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, e in vertici come il G8. Con la scusa della crisi finanziaria, l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo ha raggiunto il minimo storico, ponendo l’Italia agli ultimi posti tra i Paesi industrializzati”
Lavoro
“Secondo l’Istat, il tasso di occupazione (un tasso già inferiore di quasi 7 punti percentuali alla media UE e ancora lontano dagli obiettivi di Lisbona) si è ridotto del 2,1% 1 nel 2008 e di un ulteriore 1,3% 2 nel 2009. Il tasso di disoccupazione è tornato sopra al 7% dopo un lungo periodo di diminuzione, assestandosi al 7,1% alla fine del 2008 (contro il 6,4% dello stesso periodo dello scorso anno) e al 7,4% al secondo trimestre del 2009. Una situazione in costante peggioramento.
Tra gennaio e febbraio 2009, 370.561 lavoratori hanno perso il posto di lavoro, presentando all’Inps la domanda di indennità di disoccupazione. Si tratta di 116.983 lavoratori in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, pari ad un aumento del 46,13%.
Le prospettive più fosche tracciate dal centro studi della CGIL, l’Ires, hanno stimato per la fine del 2009 un tasso di disoccupazione al 9%, relativo a oltre 2,2 milioni di senza lavoro che dovrebbe arrivare fino al 10,1% nel 2010”
Infine, si legge nel rapporto che “mentre altri Paesi investono in media oltre il 3% del loro PIL per fronteggiare la crisi 7 e rilanciare l’economia, l’Italia ha destinato non più dello 0,8% del PIL e tutte le altre (poche) risorse destinate sono in realtà spostamenti di partite di bilancio.
“Le scelte del governo, invece di puntare ad una forte iniezione di risorse pubbliche per rilanciare la domanda interna e difendere i posti di lavoro, mirando ad innovare il nostro modello di sviluppo investendo nella green economy, nella ricerca e nella formazione, in un piano di piccole opere pubbliche di cui questo Paese ha bisogno, ha attuato una politica restrittiva, di piccoli interventi senza impatto complessivo e senza mettere in campo delle forme di protezione sociale adeguate alla portata della crisi”.
Credo che questo rapporto si commenti da solo e che, null’altro possa aggiungere. Di seguito il link per chi volesse approfondire l’argomento dove è anche possibile scaricare l’intero rapporto “People First”.
Fonte: www.socialwatch.it