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di Francesca Zucconi - 18 Novembre 2019
Molti CCNL fanno riferimento agli enti bilaterali e alla relativa iscrizione da parte dei datori di lavoro, i quali spesso non sanno esattamente a cosa serva e come poterne sfruttare le possibilità. In questa guida vediamo cos’è un ente bilaterale, a cosa serve e come il datore di lavoro e il lavoratore li può sfruttare al meglio.
Si tratta di un organismo paritetico, ossia un ente territoriale o nazionale, nato su iniziativa di associazioni di datori di lavoro o sindacati, appartenenti allo stesso settore lavorativo. La loro origine deriva dalla contrattazione collettiva, che ne rappresenta la fonte primaria di regolazione e di indirizzo.
La definizione di ente bilaterale è contenuta nel D. lgs 276/2003, relativo all’attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro secondo cui
gli enti bilaterali sono organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, quali sedi privilegiate per la regolazione del mercato del lavoro attraverso:
- la promozione di una occupazione regolare e di qualità;
- l’intermediazione nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro;
- la programmazione di attività formative e la determinazione di modalità di attuazione della formazione professionale in azienda;
- la promozione di buone pratiche contro la discriminazione e per la inclusione dei soggetti più svantaggiati;
- la gestione mutualistica di fondi per la formazione e l’integrazione del reddito;
- la certificazione dei contratti di lavoro e di regolarità o congruità contributiva;
- lo sviluppo di azioni inerenti la salute e la sicurezza sul lavoro
- e infine ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento.
La natura stessa dell’ente bilaterale è quella di favorire i rapporti tra sindacati e datori di lavoro, e creare condizioni di lavoro migliori per i lavoratori ponendosi quindi come “mediatore” di interessi tra quelli del sindacato e quelli del datore di lavoro, tant’è che l’esistenza dell’ente bilaterale è prevista dal CCNL di categoria e il loro il finanziamento degli enti bilaterali ricade sui datori di lavoro e sui lavoratori stessi, nelle modalità indicate nel testo di riferimento.
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Le aree di intervento sono molteplici: mercato del lavoro e formazione professionale e continua; regolarità contributiva, certificazione dei contratti di lavoro, salute e sicurezza; sostegno al reddito ed assistenza e previdenza integrativa.
Uno dei compiti più pratici dell’ente bilaterale è quello della formazione: il datore di lavoro quindi, può usufruire della collaborazione dell’ente bilaterale per apportare formazione ai suoi lavoratori, anche ad esempio in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, che tra le altre cose si configura come un obbligo da parte del datore di lavoro verso i suoi lavoratori.
La questione dell’obbligo di adesione all’Ente bilaterale e alla relativa contribuzione da parte del datore di lavoro è per alcuni versi controversa. Parte della diatriba nasce dall’annosa questione del rispetto dell’obbligo contrattuale per la parte normativa, finalizzata a regolare i rapporti tra le parti, ed economica dei CCNL.
È pur vero che il datore di lavoro non ha alcun obbligo di aderire ad uno specifico CCNL; né tanto meno il lavoratore ad una sigla sindacale, in virtù della libertà associativa.
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E’ altrettanto vero, però, che i servizi e le prestazioni aggiuntive previste dai CCNL rappresentano un diritto contrattuale dei lavoratori.
Detto ciò il datore di lavoro ha due alternative:
Nel caso in cui il datore di lavoro non voglia aderire all’ente bilaterale l’impatto economico è solo ed esclusivamente a suo carico, mentre nel caso in cui decida di iscriversi gli enti sono finanziati pariteticamente da lavoratori e imprese. Se consideriamo il CCNL del Commercio le quote contributive sono da calcolarsi sui valori di paga di base e contingenza ed ammontano allo 0,10% a carico dell’azienda e 0,05% a carico del lavoratore.