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Home»Sentenze Lavoro»Emersione dal lavoro irregolare e sanatoria immigrati: una pregressa condanna non la blocca. La decisione della Consulta

Emersione dal lavoro irregolare e sanatoria immigrati: una pregressa condanna non la blocca. La decisione della Consulta

Pierpaolo Molinengo22 Marzo 20244 Mins Read
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Una pregressa condanna, per un reato di lieve entità, non può bloccare una richiesta di emersione dal lavoro irregolare.

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emersione lavoro irregolare

L’articolo 103, comma 10, lett. c), del Decreto Legge n. 34 del 2020 (Decreto Rilancio) incassa una sonora bocciatura da parte della Corte Costituzionale. Con la sentenza n. 43/2024 i giudici lo hanno ritenuto illegittimo costituzionalmente nella parte che include, tra i reati che possono portare all’esclusione automatica della procedura di emersione dal lavoro irregolare, la condanna per piccolo spaccio.

Ma perché i giudici della Suprema Corte hanno preso questa decisione? La risposta è molto semplice. Il legislatore ha ritenuto questa violazione della legge un illecito di ridotta offensività. Questo è il motivo per il quale rientra tra i reati che prevedono l’arresto facoltativo in flagranza. Stiamo parlando della stessa regola che viene utilizzata dal legislatore per riferirsi ai reati di minore gravità. Per i quali non è previsto l’automatismo che abbiamo appena visto.

Ma entriamo un po’ più nel dettaglio e scopriamo su quale punto ha preso posizione la Corte Costituzionale.

Emersione dal lavoro irregolare: la sentenza della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale ritiene che sia irragionevole e, soprattutto, non risulti essere conforme al principio di proporzionalità il rigetto di un’istanza di emersione dal lavoro irregolare, perché in precedenza il lavoratore straniero era stato condannato per un reato di lieve entità. Secondo i giudici della Suprema Corte l’errore sarebbe stato nel fatto che nella decisione si è dato maggior peso ad una condanna precedente, rispetto all’accertamento dell’attuale pericolosità del soggetto.

Entrando un po’ più nello specifico, la Corte Costituzionale ha sottolineato che il reato, sostanzialmente, non costituisce un elemento sufficiente per determinare la pericolosità persistente del lavoro. Ma soprattutto non costituisce un parametro sufficiente per giustificare l’automatica esclusione del lavoratore dalla procedura di emersione dal lavoro irregolare.

È, infatti, possibile ritenere che il lavoratore straniero – anche a seguito del tempo trascorso dalla condanna, dell’espiazione della pena e dall’eventuale percorso rieducativo che ha seguito e della successiva condotta – non costituisca più un pericolo per l’ordine pubblico.

I giudici della Corte Costituzionale ritengono, quindi, che il suddetto automatismo non risulti essere coerente con le finalità della legge. Quest’ultima era stata introdotta mentre c’era l’emergenza pandemica e risultava essere “ispirata all’istanza di favorire l’integrazione lavorativa e sociale di persone che con il proprio lavoro avevano contribuito, spesso in condizioni di carenza di tutele, […] ad apportare significativi benefici alla comunità dei consociati nel contesto dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”.

Le conseguenze della sentenza

La sentenza della Corte Costituzionale ha delle conseguenze ben precise e andrà a impattare sulle varie richieste di emersione dal lavoro irregolare.

Nel caso in cui si dovesse delineare l’ipotesi in cui un lavoratore abbia riportato in passato una condanna potrà essere escluso dalle procedure di emersione dal lavoro irregolare solo e soltanto se la pubblica amministrazione dovesse riuscire ad accertare la sua pericolosità per la sicurezza dello stato e per l’ordine pubblico.

Rapporti lavorativi: in cosa consiste l’emersione

Che cosa si intende quando si parla di emersione dal lavoro irregolare. Volendo sintetizzare al massimo è una sanatoria o, più correttamente, una pratica attraverso la quale si rende ufficiale un rapporto di lavoro irregolare, tramite la comunicazione alla pubblica autorità e agli enti preposti.

A essere oggetto di questa operazione sono dei rapporti di collaborazione instaurati con lavoratori di qualsiasi cittadinanza che possono essere anche degli extracomunitari non in regola con il permesso di soggiorno.

Siamo davanti a un procedimento eccezionale, che fino a questo momento, ha costituito uno dei pilastri principali attraverso i quali è stata gestita la politica migratoria.

Sanatoria immigrati: normativa e procedura

La procedura a cui si riferisce la sentenza è quella prevista dall’art. 103 del D.L. n. 34/2020 (cd. “Decreto Rilancio”), convertito con modificazioni in Legge numero 77/2020, che aveva incentivato la possibilità di sanare i rapporti di lavoro irregolari. L’opportunità era concessa per i datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell’Unione Europea, ovvero per i datori di lavoro stranieri in possesso del titolo di soggiorno e poteva essere presentata per:

  • concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale;
  • dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare con cittadini italiani, dell’Unione Europea o extracomunitari.

Era stata definita all’epoca anche sanatoria colf, badanti e lavoratori dell’agricoltura irregolari e si “sanava” con un versamento all’INPS e altre comunicazioni.

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