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di Claudio Garau - 5 Maggio 2021
In data 5 maggio 2021 è stato pubblicato sul sito del Governo il testo completo in formato PDF del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) trasmesso alla Commissione europea.
Il 29 aprile, il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al “Recovery Plan Italiano”, ossia il documento con il quale l’Italia di fatto illustra in ogni dettaglio, come intende utilizzare e spendere i finanziamenti che giungeranno dall’Unione Europea, attraverso il Next Generation EU, detto anche Recovery Fund. Proprio quest’ultimo rappresenta il principale strumento comunitario per contrastare la crisi economica provocata dalla pandemia da coronavirus, e legata – come ben sappiamo – alle tante restrizioni da lockdown di questi ultimi mesi.
Il programma di rilancio del paese comporterà finanziamenti per un totale di 221,1 miliardi di euro, dei quali 191,5 miliardi provenienti direttamente dal Recovery Fund (fra contributi a fondo perduto e prestiti a basso tasso d’interesse); e 30,6 miliardi di risorse interne, ossia un piano nazionale complementare da mettere in atto entro il 2026. Secondo le analisti effettuate, il 27% dei fondi sarà rivolto alla digitalizzazione e ben il 40% agli investimenti a favore di clima ed ambiente. Ecco perchè il piano in questione è stato già definito ‘epocale’ e senza precedenti.
Vediamo dunque un po’ più nel dettaglio i contenuti e le finalità del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, nello schema inviato alle istituzioni UE.
In verità, alle cifre appena ricordate sono da aggiungersi anche 26 miliardi supplementari, da destinare a opere specifiche, e da versare entro il 2032. Previsto anche il reintegro delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione, che condurrà allo stanziamento di altri 15,5 miliardi.
Come si può ben intuire, abbiamo di fronte un progetto enorme dal punto di vista economico, mai avutosi prima nella storia dell’Italia ed anche dell’Europa. La finalità fondamentale del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza è piuttosto ovvia: rilanciare nei prossimi anni il tessuto socio-economico del Paese, attraverso interventi che spingano finalmente alla realizzazione delle riforme strutturali del lavoro; delle pensioni; del fisco; della giustizia, ma non solo. In ballo anche il futuro dell’ambiente e del clima, la progressiva digitalizzazione dei servizi ai cittadini e la lotta alle diseguaglianze sociali.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ossia il Recovery Fund varato dal Governo e inviato il 30 aprile alla Commissione UE, è articolato in ampi capitoli. In particolare, proprio nei giorni scorsi, il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha illustrato le sei missioni di cui è composto il PNRR. Richiamiamo in sintesi i contenuti di queste missioni, onde consentire di comprendere – in sintesi – qual è l’ossatura del programma italiano di rilancio economico da qui ai prossimi anni:
Il Recovery Plan prosegue oltre con il suo massiccio progetto di riforme, che investono infatti anche i settori che seguono:
Non deve sorprendere affatto che il percorso che dovrà condurre al completamento di queste sei missioni, passerà inevitabilmente da una serie di riforme strutturali e trasversali; ossia in grado di coinvolgere praticamente tutti i settori della società italiana. Proprio il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha recentemente reso noto agli organi di informazione che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sarà legato strettamente ad un cronoprogramma di riforme, da attuarsi entro scadenze ben precise.
Anzitutto quella della giustizia italiana, da troppo tempo ancorata a regole ed abitudini che la rendono farraginosa e lenta. Draghi ha infatti ricordato che occorre affrontare quanto prima “i nodi strutturali del processo civile e penale”.
E’ necessario insomma accorciare i tempi delle controversie civili e penali, per non scoraggiare imprese ed investitori stranieri e non allontanarli dall’Italia. Anzi la riforma della giustizia “è uno degli impegni più importanti ed espliciti che abbiamo preso verso l’Unione europea“, ha detto limpidamente l’ex numero uno BCE. Non solo: ha anche aggiunto che l’obiettivo ambizioso è di “ridurre i tempi dei processi del 40% per il settore civile e almeno del 25% per il penale”.
In cantiere però non c’è soltanto la pur determinante riforma della giustizia. Si parla sempre più insistentemente della riforma della PA, ispirata a criteri di sburocratizzazione e spinta alla digitalizzazione. Proprio la riforma del pubblico impiego è fondata su nuove assunzioni di personale qualificato e concorsi ‘digitalizzati’; nuove regole di buona amministrazione; rafforzamento e miglioramento delle competenze .
Non solo: come da più parti auspicato, per dare attuazione agli obiettivi di cui al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, le istituzioni finalmente lavoreranno alla “semplificazione delle norme in materia di appalti pubblici e concessioni“. Nei prossimi mesi, il Governo porterà altresì avanti l’opera di “abolizione delle norme che non aiutano la concorrenza“. In prospettiva, anche la riforma delle pensioni, del fisco e quella sugli ammortizzatori sociali.
Certamente, una questione ulteriore e connessa è quella relativa all’individuazione dei soggetti che si occuperanno di garantire, nel tempo, l’attuazione delle riforme in cantiere. Il Premier ha spiegato che la governance del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sarà organizzata su distinti livelli. Infatti, “l’attuazione delle iniziative e delle riforme” e “la gestione delle risorse finanziarie“, saranno oggetto di responsabilità “dei Ministeri e delle autorità locali”.
Invece, il controllo sull’avanzamento delle iniziative e sui risultati; la rendicontazione e i contatti con la Commissione europea saranno compito del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF). E non è finita qui: sarà costituita una permanente cabina di regia della Presidenza del Consiglio. Ciò “con il compito di interloquire con le amministrazioni responsabili in caso di riscontrate criticità nell’attuazione del Piano“.
Il Presidente del Consiglio ha poi concluso, rilevando il ruolo di spicco che avranno Regioni ed Enti locali, che saranno infatti responsabili dell’attuazione, a livello territoriale, di “quasi 90 miliardi di investimenti, circa il 40% del totale“. Ecco perchè il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza può essere definito epocale; e perchè abbisogna della collaborazione di tutti gli uffici in cui è organizzato lo Stato, per poter essere messo in atto fino in fondo.