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Vertenza sindacale: significato, quando farla e costi da sostenere

Cos'è la vertenza sindacale e quando il dipendente può farvi ricorso per contestare un comportamento del datore di lavoro che non rispetti i suoi diritti


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di - 2 Novembre 2018

La vertenza sindacale è uno strumento nelle mani del dipendente per contestare una condotta del datore di lavoro che non rispetta i suoi diritti, come disciplinati dalle norme di legge o dal contratto collettivo.

Per far valere le proprie pretese (ad esempio il mancato godimento delle ferie o lo svolgimento di ore di lavoro non retribuite) il dipendente può rivolgersi ad un sindacato competente per il settore in cui questi opera e fare causa al datore di lavoro.

Obiettivo del sindacato è giungere ad un accordo tra datore e dipendente che ponga fine alla lite ed eviti l’avvio di una causa in tribunale. In questi casi si parla di conciliazione in sede sindacale, nome suggerito dal fatto che l’accordo è concluso con l’assistenza del sindacato e si svolge con le modalità previste dal contratto collettivo applicato.

Vediamo nel dettaglio come avviare una vertenza sindacale, quali sono i passi da compiere e le conseguenze per lavoratore e datore di lavoro.

Vertenza sindacale: quando farla

Quando si può fare una vertenza sindacale? Presupposto della vertenza al datore di lavoro è un comportamento del datore di lavoro che secondo il dipendente non rispetta o pregiudica un suo diritto disciplinato dalla legge o dal contratto collettivo.

Le ipotesi più frequenti sono:

A fondamento della sua pretesa il dipendente può presentare eventuali documenti giustificativi e anche testimoni, presi di solito fra i colleghi di lavoro.

Termini di prescrizione

Relativamente ai termini di prescrizione della vertenza, questi variano a seconda del diritto che si vuole tutelare e la grandezza dell’azienda in base al numero di lavoratori dipendenti. Generalmente i termini di prescrizione sono 5 anni e questi si calcolano:

Come fare la vertenza al datore di lavoro

Per dare avvio alla vertenza sindacale il dipendente deve rivolgersi al proprio sindacato di categoria. Questo altro non è che l’articolazione all’interno del sindacato che si occupa del settore in cui opera il lavoratore.

Ad esempio, la Federazione Impiegati Operai Metallurgici (in sigla FIOM) è l’articolazione che all’interno della CGIL rappresenta i lavoratori delle imprese metalmeccaniche.

La sede cui rivolgersi è di norma quella territorialmente competente in base all’unità produttiva in cui il dipendente è assunto.

Cos’è il tentativo di conciliazione

Il tentativo di conciliazione entra in scena quando il sindacato, dopo aver valutato le argomentazioni del dipendente e l’eventuale documentazione da questi fornita, propone alle parti un accordo per porre fine alla lite ed evitare che la stessa si trascini in tribunale. In questi casi si parla di conciliazione sindacale, ipotesi espressamente prevista dalla legge (articolo 412-ter Codice di procedura civile).

Il tentativo di conciliazione qui in esame è definito stragiudiziale perché non prevede l’intervento del giudice ed è finalizzato ad evitare l’avvio di una controversia legale. Al contrario, la conciliazione giudiziale ha lo scopo di far cessare una causa già in corso grazie all’intervento mediatore del giudice.

La conciliazione sindacale deve svolgersi:

Il CCNL Terziario-Confcommercio, ad esempio, prevede (art. 37) il tentativo obbligatorio di conciliazione presso la Commissione Paritetica Territoriale costituita presso l’Ente Bilaterale Territoriale del Terziario e composta da:

Vertenza sindacale conseguenze

La vertenza sul lavoro ovviamente può giungere ad una soluzione accettata da entrambe le parti in via bonaria, ma può anche terminare senza un accordo. Quindi in caso positivo si concluderà tutto in questa fase, altrimenti si trasmetterà la pratica ad un legale di fiducia del sindacato e si procederà alla causa di lavoro. Vediamo nel dettaglio quali sono le conseguenze della vertenza al datore di lavoro nell’uno e nell’altro caso.

Esito positivo della conciliazione

Qualora l’esito della conciliazione sia positivo il relativo verbale dev’essere depositato, a cura delle parti o dell’associazione sindacale, presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro.

Il direttore dell’Ispettorato o un suo delegato provvederà a depositare il verbale nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione lo stesso è stato redatto. Il giudice su istanza di parte dichiarerà il verbale esecutivo (e quindi produttivo di effetti) con apposito decreto.

Esito negativo della conciliazione

In caso di esito negativo della conciliazione il lavoratore potrà presentare ricorso al tribunale in funzione di giudice del lavoro, al fine di far valere i propri diritti; farà quindi causa al datore di lavoro e potrà farsi assistere da un legale di fiducia oppure da un legale di fiducia del sindacato.

Quanto costa fare una vertenza sindacale

A questo punto non ci resta che capire quanto costa fare una vertenza all’azienda. I costi della vertenza sindacale variano a seconda che lo stesso sia o meno iscritto al sindacato presso il quale si rivolge.

Infatti sono nulli o quasi, se lo stesso è iscritto al sindacato; in questi casi infatti si richiedono di solito i soli costi vivi e i rimborsi per le spese sostenute dal sindacato per istruire la pratica. Nel caso in cui il lavoratore non sia iscritto invece si richiederà solitamente l’iscrizione, ovvero la sottoscrizione della tessera e successivamente i costi vivi sostenuti per la pratica.

Infine i costi possono ridursi ulteriormente se a rivolgersi al sindacato per la stessa vertenza sono due o più lavoratori per le stesse motivazioni e nei confronti della stessa azienda, anzichè uno solo. In quest’ultimo caso è inoltre evidente che il potere sindacale sarà anche più elevato, come si dice l’unione fa la forza…

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Tags: Ispettorato del Lavoro