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di Andrea Amantea - 17 Marzo 2021
Ai fini dell’esenzione dall’imposta di successione in favore di un ente ecclesiastico, bisogna tener conto dell’attività in concreto svolta dallo stesso ente e non della sua natura ecclesiastica. L’attività svolta nei fatti può o meno coincidere con il fine dichiarato nell’atto costitutivo.
Si è espressa in tal senso la Corte di cassazione con la sentenza n. 1149 del 21 gennaio 2021.
Il testo Unico sulle successioni e donazioni, D.Lgs 346/1990, all’art.3 prevede specifici casi di esenzione dall’applicazione dell’imposta di successione. In caso di trasferimenti immobiliari, il beneficio, sussistendo le condizioni di seguito analizzate, opera anche per le imposte ipotecaria (articolo 1, comma 2 del Dlgs n. 347/1990) e catastale (articolo 10, comma 3 del Dlgs. n. 347/1990).
Detto ciò, non sono soggetti all’imposta di successione:
Su tale ultimo punto, entro cinque anni dall’accettazione dell’eredità (oppure in caso di donazione o acquisto del legato) deve dimostrare di avere impiegato i beni o diritti ricevuti o la somma ricavata dalla loro alienazione per il conseguimento delle finalità indicate dal testatore o dal donante.
Se manca tale dimostrazione, l’ente che ha ricevuto i beni è tenuto al pagamento dell’imposta; è tenuto inoltre al pagamento degli interessi legali dalla data in cui avrebbe dovuto essere pagata.
La vicenda giudiziaria qui in commento è legata alla presentazione di una dichiarazione di successione per la quale l’Agenzia delle entrate aveva richiesto l’imposta ordinaria in relazione a un trasferimento mortis causa disposto, a titolo di legato, nei confronti di un ente ecclesiastico.
Con sentenza n. 2537/8/17, depositata in data 8 maggio 2017, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, rigettava l’appello proposto dalla Provincia Italiana Dell’Ordine Dei Canonici Regolari Lateranensi avverso la sentenza n. 1991/54/16 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con condanna al pagamento delle spese di lite.
Il giudice di appello confermava la decisione di 1° grado.
La conferma della decisione si basava sui seguenti elementi:
Avverso la sentenza di 2° grado l’ente ha presentato ricorso in Cassazione.
L’ente riteneva di aver diritto all’esenzione di cui al primo comma dell’articolo 3 del Dlgs. n. 346/1990, comma 1 sopra riportato. Il fatto di svolgere in via del tutto marginale e comunque strumentale alle proprie finalità istituzionali l’attività di conduzione di un fondo agricolo non poteva essere da ostacolo all’applicazione dell’esenzione.
La Cassazione in primis rileva che , per l’esenzione prevista dal comma 1 anche in favore di enti pubblici, fondazioni o delle associazioni legalmente riconosciute la qualifica soggettiva richiesta per l’esenzione totale si configura solo allorché abbiano come scopo esclusivo : l’assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l’educazione, l’istruzione o altre finalità di pubblica utilità. Anche in questo caso, si impone una verifica dell’esclusività dello scopo istituzionale.
Caratteristica che, se accertata, rende, successivamente, superflua la verifica caso per caso delle finalità del singolo trasferimento.
Di contro tale verifica, caso per caso, si impone sempre allorché il soggetto non abbia come scopo esclusivo una delle finalità elencate.
Ancora secondo la Cassazione, l’assunto del contribuente secondo cui dalla sua natura di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto deriverebbe necessariamente il perseguimento di uno scopo esclusivo di religione e di culto, equiparabile ai fini tributari a quello di beneficenza o di istruzione, non trova alcuna giustificazione nella normativa che regola le attività degli enti ecclesiastici.
Normativa che prevede e disciplina espressamente la possibilità che tali enti svolgano anche attività diverse da quelle di religione o di culto.
Secondo il ricorrente invece l’equiparazione porterebbe di diritto a fruire della agevolazione dell’esenzione dell’imposta di successione.
Nella motivazione della sentenza, è stata richiamata la legge n. 222 del 1985, contenente disposizioni sugli enti e sui beni ecclesiastici in Italia. Il riferimento specifico riguarda:
Sulla base delle normativa richiamata, potendo un ente ecclesiastico svolgere una molteplicità di attività, il regime tributario in concreto applicabile non può essere determinato sulla base della natura ecclesiastica del soggetto, bensì tenendo conto dell’attività in concreto esercitata dallo stesso (elemento oggettivo), che può o meno coincidere con il fine dichiarato nell’atto costitutivo. Nei fatti l’ente non rispetta il requisito dell’esclusività dello svolgimento di attività finalizzate all’assistenza, allo studio, alla ricerca scientifica ecc. Esclusività richiesta dal suddetto comma 1 dell’art.3 sopra trattato.
Ciò non esclude che l’esenzione possa comunque essere ottenuta, ma solo in presenza dei presupposti di cui al comma 2; quindi a condizione che il trasferimento sia avvenuto per una delle finalità agevolate, di cui al comma 1.
Da qui, l’ente avrebbe dovuto dimostrare che il trasferimento gratuito era stato disposto per perseguire una delle finalità di:
ma l’ente non ha mai fornito tale prova.
In considerazione di ciò, la Cassazione ha ritenuto legittima la ripresa a tassazione da parte dell’Agenzia delle entrate.