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di Daniele Bonaddio - 5 Novembre 2018
Dal 1° novembre 2018 si è conclusa la fase transitoria del contratto a termine e si applicano tutte le novità introdotte dal Decreto Dignità, così come convertito in Legge 96/2018, comprese le norme su proroghe e rinnovi. Con l’entrata a regime della menzionata legge si rafforzano ulteriormente le norme che disincentivano fortemente l’utilizzo di tale istituto, in quanto l’intento è quello di ridurre il precariato.
Infatti, tra le novità più importanti sul contratto a tempo determinato si ravvisa:
In questo articolo ci soffermeremo però sul solo contratto a tempo determinato, per il resto vi rimandiamo alla lettura della circolare che trovate allegata a fondo pagina.
Come anticipato poc’anzi, una delle novità più importanti concerne la modifica della durata del contratti: che passa da 36 a 24 mesi anche per effetto di una successione di proroghe e rinnovi di contratti.
A tal fine, precisa il Ministero del Lavoro, i CCNL stipulati ante 14 luglio 2018, che prevedono una durata diversa, mantengono la loro validità fino allo scadere. Ciò significa che se un contratto rinnovato prima del 14 luglio 2018 prevede ancora una durata di 36 mesi, può essere pacificamente utilizzata anche in vigenza del Decreto Dignità.
Rimane ferma la possibilità concessa alle parti di poter comunque allungare di ulteriori 12 mesi il contratto presso l’Ispettorato nazionale del lavoro, una volta che sono stati raggiunti i limiti massimi.
Altra novità che ha destato più di qualche perplessità è il reinserimento delle causali. In pratica, per giustificare l’utilizzo di un lavoratore a termine, il datore di lavoro deve obbligatoriamente indicare una precisa causale. Questo obbligo scaturisce se il contratto superi i 12 mesi o già al primo rinnovo. In tal caso, il datore di lavoro può giustificare l’apposizione del termine al contratto per le seguenti condizioni:
Da notare comunque che l’obbligo di inserire la causale scatta qualora:
Al contrario, la causale non si applica:
Si ricorda che si ricade comunque nell’ipotesi del rinnovo qualora un nuovo contratto a termine decorra dopo la scadenza del precedente contratto.
Altro punto su cui la circolare Ministeriale si sofferma è quello dell’obbligatorietà della forma scritta. Questa infatti viene rafforzata dal Decreto Dignità in quanto si è eliminata la formula secondo cui questa poteva risultare “direttamente o indirettamente” da atto scritto.
Viene quindi esclusa la possibilità di desumere da elementi esterni al contratto la data di scadenza; resta ferma questa possibilità dei soli casi specifici, come ad esempio la sostituzione di maternità in cui il termine è collegato al rientro del lavoratore sostituito.
Proseguendo nella rassegna delle modifiche è possibile evidenziare anche la riduzione delle proroghe possibili in un contratto a termine. Dal 14 luglio 2018, infatti, è possibile effettuare al massimo 4 proroghe (in precedenza erano 5). Infatti, dalla 5 proroga scatta automaticamente la sanzione della conversione del rapporto di lavoro in uno di tipo subordinato a tempo indeterminato.
È bene evidenziare, a tal proposito, che sfuggono alle novità delle proroghe le attività stagionali.
Leggi anche: Il contratto a tempo determinato: guida completa e aggiornata al Decreto Dignità
Ad appesantire maggiormente il contratto a tempo determinato, rendendolo meno appetibile rispetto a prima, vi è l’introduzione di un nuovo contributo aggiuntivo dello 0,5%. Questo contributo scatta in occasione di ciascun rinnovo del contratto dopo il primo, che si aggiunge al contributo addizionale già previsto dalla Riforma Fornero dell’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali.
Ne consegue che dopo il primo rinnovo la misura ordinaria dell’1,4% andrà incrementata dello 0,5%. In tal modo verrà determinata la nuova misura del contributo addizionale cui aggiungere nuovamente l’incremento dello 0,5% in caso di ulteriore rinnovo. La maggiorazione dello 0,5% non si applica invece in caso di proroga del contratto.
Quanto alle tutele del lavoratore assunto a tempo determinato, il Legislatore dispone un ampliamento dei termino per impugnare il contratto da 120gg a 180gg. Quindi, con l’entrata in vigore del Decreto il contratto a tempo determinato deve essere impugnato entro 180 giorni dalla cessazione del singolo contratto.
L’impugnazione dovrà avvenire con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota tale volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale. L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 180 giorni:
Il Ministero del Lavoro si sofferma quindi sul periodo transitorio dei provvedimenti. Bisogna infatti distinguere in 3 fasi e 3 diversi regimi:
Sempre sul periodo di transizione la circolare ministeriale offre un altra importante interpretazione: anche al contratto di somministrazione si applica il periodo transitorio.
Leggi anche: Contratto di somministrazione a tempo determinato dopo il Decreto dignità
Alleghiamo quindi la circolare ministeriale per una sua completa lettura e analisi.