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Interdizione post partum: valgono le mansioni effettive. Chiarimenti INL

Ai fini dell’interdizione post partum bisogna tenere conto delle mansioni effettivamente svolte dalla madre lavoratrice, a prescindere dal DVR


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di - 8 Aprile 2021

L’interdizione post partum consiste in provvedimenti di interdizione al lavoro delle lavoratrici madri in periodo successivo al parto al fine di tutelare la salute della lavoratrice madre e della prole, per il periodo successivo al parto. Il fattore principale che consente alla madre lavoratrice di astenersi dal lavoro dopo il parto, ottenendo la relativa indennità, è l’adibizione concreta ad attività vietate e pericolose. Ciò vale indipendentemente che il datore di lavoro, all’interno del DVR (Documento di Valutazione dei Rischi), abbia proceduto a una valutazione della mansione e dei rischi.

Quindi, anche qualora il rischio attinente al sollevamento dei pesi non sia stato espressamente valutato nel DVR, l’adibizione a tali mansioni costituirebbe comunque condizione sufficiente per il riconoscimento della tutela della lavoratrice. Ciò determinerebbe l’emanazione del provvedimento di interdizione da parte dell’amministrazione competente, ferma restando una valutazione circa l’impossibilità di adibizione ad altre mansioni.

A specificarlo è l’INL con la Nota n. 553 del 2 aprile 2021, uniformando l’attività degli ispettori del lavoro nell’emanazione dei provvedimenti di interdizione al lavoro delle lavoratrici madri in periodo successivo al parto.

Interdizione post partum: divieto al trasporto e al sollevamento pesi

Gli artt. 6, 7 e 17 del D.Lgs. n. 151/2001 sono finalizzate a tutelare la salute della lavoratrice madre e della prole attraverso:

Nello specifico:

Ai fini dell’adozione dei provvedimenti di tutela, nei termini alternativi sopra richiamati, si ritiene sufficiente la mera constatazione della adibizione della lavoratrice madre a mansioni di trasporto e al sollevamento di pesi. Ciò vale a prescindere dalla valutazione del rischio inerente all’interno del DVR.

Tale conclusione è coerente con l’orientamento della giurisprudenza che qualifica la posizione giuridica vantata dalla lavoratrice in termini di diritto soggettivo. Questo perché non si riscontrano significativi margini di valutazione neanche in termini di discrezionalità tecnica in ordine alla verifica delle effettive condizioni di lavoro della lavoratrice.

Parto prematuro: i giorni non goduti si aggiungono al congedo obbligatorio

Nell’ipotesi in cui il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni antecedenti al parto non goduti a titolo di astensione obbligatoria si aggiungano al periodo di congedo obbligatorio di maternità da fruire dopo il parto. Analogo principio trova applicazione nelle ipotesi di interdizione fino al settimo mese dopo il parto.

Pertanto i giorni di congedo obbligatorio ante partum non fruiti si aggiungono al termine della fruizione dei 7 mesi decorrenti dalla data effettiva del parto. Ciò significa che il provvedimento di interdizione adottato dall’ITL dovrà indicare la data effettiva del parto.

Leggi anche: Congedo di maternità obbligatorio: come funziona, domanda INPS e novità

Quindi, è necessario far decorrere da tale data i 7 mesi di interdizione post partum; aggiungendo, ai predetti 7 mesi, i giorni non goduti a causa del parto prematuro.

Interdizione dal lavoro post partum: emanazione di provvedimento

Sul piano procedimentale l’INL precisa che:

pur in presenza di sentenza dichiarativa circa la sussistenza del diritto all’astensione, è in ogni caso necessaria l’emanazione da parte dell’ITL del relativo provvedimento amministrativo di interdizione.

Per quanto attiene, invece, alla richiesta nei confronti dell’Istituto previdenziale per l’erogazione dell’indennità sostitutiva, occorre che la lavoratrice inoltri sempre un’apposita istanza all’INPS. Ciò in quanto la sentenza dichiarativa del diritto non sostituisce l’atto provvedimentale della PA inteso quale presupposto necessario per l’erogazione della relativa indennità.

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Tags: Maternità