La buonuscita, così come il TFR per i dipendenti privati, è una somma di denaro riconosciuta in favore dei dipendenti del settore pubblico in caso di interruzione, per qualsiasi motivo, del rapporto di lavoro. Se per il trattamento di fine rapporto l’erogazione è immediata, e i termini sono descritti del contratto collettivo applicato, lo stesso non può dirsi invece per i dipendenti statali. Questi ultimi, infatti, per vedersi accreditato l’emolumento devono attendere molto di più: un arco temporale, questo, che in genere varia dai 12 ai 24 mesi. Inoltre, anche le modalità di erogazione sono differenti. Nel caso dei dipendenti statali, il TFS è corrisposto in una, due o addirittura tre rate, a secondo dell’importo spettante al lavoratore.
Tale meccanismo di erogazione della buonuscita, previsto dal governa Letta nel 2013, con decorrenza prevista dal 1° gennaio 2014, è stato fortemente criticato dalla compagine dei lavoratori pubblici, i quali ritengono di subire una disparità di trattamento rispetto ai lavoratori appartenenti al settore privato. Tant’è che la questione ha interessato di recente la Corte Costituzionale, riunitasi in Camera di Consiglio per discutere su una questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Roma. Andiamo quindi in ordine e vediamo cosa ha affermato la Corte Costituzionale.
Buonuscita differita a rate per gli statali
La questione riguarda una dipendente statale andata in pensione anticipata nel 2016, con ben 42 anni di servizio. La prima rata della buonuscita è stata ricevuta soltanto nel dicembre 2018. Tale pratica, a detta della lavoratrice, è assolutamente scorretta.
La vicenda finisce delle aule della Corte Costituzionale, la quale ha stabilito che le pretese avanzate dalla dipendente sono infondate. Ergo, per i dipendenti pubblici resta il pagamento differito e a rate della liquidazione prevista dalla L. n. 147/2013 (cd. Leggi di Stabilità 2014).
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L’ipotesi di differimento, però, afferma l’Ufficio stampa della Corte Costituzionale vale esclusivamente per i lavoratori che accedono alla pensione per ragioni differenti dal raggiungimento dei limiti massimi di età o di servizio, che per l’anno 2019 è pari a 67 anni. Nel caso di specie, quindi, la Corte ha ritenuto non irragionevole il regime restrittivo previsto dal legislatore, che consiste – come detto – nel differimento dell’indennità in 12 o 24 mesi e il pagamento in rate annuali.
In definitiva, è assolutamente legittimo il posticipo di 24 mesi del pagamento della buonuscita, nonché il pagamento a rate, per i dipendenti pubblici che si dimettono volontariamente dal lavoro. È il caso, ad esempio, del lavoratore che si dimette per aver raggiunto il limite minimo contributivo per accedere alla pensione anticipata, oppure per aver maturato i requisiti anagrafici e contributivi per richiedere la cd. “quota 100” (62 anni e 38 anni di contributi).
Nulla ha detto la Corte Costituzionale in merito al differimento di 12 mesi e delle relative rateazioni per i dipendenti pubblici che vengono collocati in pensione poiché hanno raggiunto l’età per accedere alla pensione di vecchiaia (cd. collocamento in pensione forzoso).
Differimento a rate del TFS per dipendenti statali
La L. n. 147/2013 ha disposto il differimento, per motivi di contenimento della spesa pubblica, dell’erogazione del TFS dei dipendenti pubblici:
- dopo 12 mesi dalla cessazione del servizio per raggiunti limiti di età, oggi a 67 anni, oppure;
- dopo 24 mesi in caso di pensione anticipata.
Il pagamento è previsto in:
- unica soluzione se di importo pari o inferiore a 50.000 euro;
- in due rate annuali per importo compresi tra 50.000 euro e 100.000 euro
- tre rate annuali per importi superiori a 100.000 euro.
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