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Assenze tattiche per malattia: legittimo il licenziamento

È stata confermata la legittimità del licenziamento di un lavoratore che, ripetutamente, si assentava per previ periodi di malattia a cavallo di feste. I dettagli nella sentenza n. 18283/2019


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di - 24 Luglio 2019

Assentarsi per malattia a cavallo di feste o di riposi può costare addirittura il posto di lavoro. Le assenze per malattia dal lavoro per brevi periodi, in maniera continuativa e con comunicazioni rese al datore di lavoro all’ultimo minuto, potrebbero essere considerate assenze tattiche per malattia.

Questo comportamento integra lecitamente il provvedimento espulsivo del dipendente. Si tratta, infatti, di un atteggiamento non occasionale, e quindi voluto e intenzionale, poiché è volto ad eludere le norme legali e quelle della contrattazione collettiva nazionale del lavoro. Tra l’altro, un simile comportamento danneggia gravemente l’organizzazione aziendale, poiché il datore di lavoro vede privarsi di una risorsa lavorativa in extremis.

La decisione è giunta dai giudici della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18283/2019. Ma andiamo nel dettaglio della pronuncia. Ecco cosa hanno detto i giudici di legittimità.

Assenze tattiche per malattia e licenziamento: la vicenda

Il caso affrontato dai giudici della Suprema Corte, riguarda un licenziamento disciplinare intimato a un lavoratore che si assentava dal posto di lavoro per malattia in difformità rispetto a quanto statuito nel contratto collettivo nazionale del lavoro. In particolare, le assenze avvenivano sistematicamente in concomitanza di feste o di riposi e per di più in maniera reiterata e intenzionale. Tra l’altro, la comunicazione al datore di lavoro avveniva in ritardo e quindi oltre i limiti previsti dal relativo Ccnl, cioè oltre le prime due ore dell’orario di lavoro.

Il lavoratore era già stato sanzionato per tale comportamento che impediva all’azienda di organizzarsi per sopperire l’assenza e soprattutto di attivare i controlli ispettivi.

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Sul punto, la Corte d’Appello di Cagliari – confermando la pronuncia di primo grado – aveva dichiarato legittimo il licenziamento disciplinare intimato dal datore di lavoro. Il comportamento del lavoratore è stato considerato grave anche in considerazione del fatto che il dipendente era a conoscenza della propria malattia. Ciò amplificava la gravità delle comunicazioni effettuate sempre in ritardo.

Inoltre, confermano i giudici di merito, lo stato di malattia iniziava sempre il giovedì e il venerdì, per poi continuare il lunedì e durare ancora uno o due giorni, allungando dunque il week end. Il certificato medico poi, non solo giungeva in ritardo, ma non copriva nemmeno tutti i giorni di assenza.

Nonostante le due pronunce sfavorevoli, il lavoratore impugnava ugualmente la sentenza in Cassazione.

Assenze tattiche dal lavoro: la sentenza

I giudici della Corte di Cassazione confermano quanto affermato dalle pronunce di primo e secondo grado di giudizio, respingendo il ricorso del lavoratore. Gli ermellini, dopo la raccolta degli elementi di fonte documentale, hanno confermato integralmente i fatti oggetto della contestazione.

In pratica, si sono considerati tutti gli episodi precedenti, contestati a titolo di recidiva e già sanzionati con provvedimenti di carattere conservativo. Episodi, quesiti, che riguardavano il mancato rispetto delle formalità previste dal contratto collettivo applicato in azienda (settore elettrico) per la giustificazione delle assenze.

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Inoltre, a detta dei giudici di legittimità, il comportamento reiterato e intenzionale del lavoratore, era di notevole gravità, tale da arrecare pregiudizio all’organizzazione aziendale. Infatti, il datore di lavoro non era mai messo nella condizione di poter attivare il controllo ispettivo previsto in caso di malattia del dipendente.

Altra fattore che ha tenuto conto la Corte di Cassazione, è la piena coscienza che il lavoratore in malattia non si sarebbe recato al lavoro. Nonostante ciò, la comunicazione da effettuare entro le prime due ore dell’orario base (come richiesto dall’art. 28 del CCNL applicato) era sempre prossima alla scadenza di queste.

In definitiva, la condotta del lavoratore è stata ritenuta di gravità tale da ledere il rapporto di fiducia tra il datore di lavoro e il dipendente.

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Tags: Cassazionemalattia