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di Daniele Bonaddio - 12 Ottobre 2018
Fra i criteri di scelta nei licenziamenti collettivi nelle procedure di riduzione di personale è legittimo basarsi sulla prossimità alla pensione dei lavoratori. Ciò consente in primis a ridurre al minimo l’impatto sociale della riorganizzazione; inoltre viene salvaguardato il lavoratore che, in caso di licenziamento collettivo, non potrebbe beneficiare, della protezione sociale garantita dal prepensionamento.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n, 24755 dell’8 ottobre 2018.
Nel caso di specie, la vicenda riguarda un licenziamento collettivo ex lege n. 223/1991, impugnato da un lavoratore che ne contestava i criteri di scelta. In prima battuta, il Tribunale locale ha confermato la genuinità del licenziamento operato dalla società; decisione, questa, successivamente ribaltata dai giudici della Corte di appello di Firenze con la sentenza n. 679/2016, che aveva dichiarato appunto la nullità del licenziamento intimato.
Pertanto, la società veniva condannata a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro ed a corrispondergli il risarcimento del danno nella misura di tutte le mensilità maturate dalla data del licenziamento alla reintegra oltre accessori di legge sino al saldo.
In particolare, nel caso in questione, il licenziamento era ritenuto illegittimo per la accertata incoerenza tra la crisi dell’azienda e gli esuberi accertati e i lavoratori licenziati. Quanto alle conseguenze della illegittimità, la Corte escludeva che vi fosse stata in concreto la violazione dei criteri di scelta in quanto correttamente applicato il criterio convenzionalmente individuato, bensì la violazione della procedura di cui all’art. 4 della legge n. 223/1991. Ciò in quanto pur valutando legittimo il criterio dell’accesso a pensione, ne rilevava l’uso strumentale e scorretto diretto solo a delimitare l’area degli esuberi senza alcun rapporto concreto e, soprattutto, formalizzato, con la effettiva situazione produttiva ed organizzativa in eccedenza. Da cio’ derivava, oltre che la violazione della procedura, anche la lesione del principio paritario cui l’ordinamento fa conseguire la nullità del licenziamento.
La società impugna la sentenza di della Corte d’Appello e ricorre in Cassazione.
Sul punto, la società rilevava i seguenti motivi per il ricorso:
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso della società. Gli ermellini partono dal presupposto che nelle precedenti decisioni (Corte Territoriale e Corte d’Appello) è stato dato atto a due differenti orientamenti:
La Corte di Cassazione intende dare continuità al secondo orientamento. L’adozione del criterio della maggiore vicinanza alla pensione risulta quindi coerente con la finalità del “minor impatto sociale” perché “astrattamente oggettivo e in concreto verificabile” (cfr. Cass. n. 7710/2018) e quindi rispondente alle necessarie caratteristiche di obiettività e razionalità come sopra richiamate.