La Corte di Cassazione, com’è noto, è il supremo organo di giurisdizione italiana e giudice di ultima istanza. Tra le sue funzioni, quelle legate all’emanazione di sentenze e ordinanze, assai utili a indicare la corretta applicazione del diritto in una pluralità di situazioni simili tra loro.
Recentemente, con l’ordinanza n. 6468/2024 del 12 marzo scorso, la Suprema Corte – sezione lavoro – ha rimarcato che l’utilizzo, da parte del lavoratore, dei permessi legati alle tutele della legge 104, per attività diverse dall’assistenza al familiare disabile, possono configurare un abuso e – dunque – rappresentare una giusta causa di licenziamento (senza preavviso).
E ciò perché il comportamento del dipendente va contro le finalità, per cui il beneficio in oggetto è stato assegnato. Vediamo un po’ più da vicino i contenuti di questa ordinanza.
Abuso permessi 104: cosa dice la Cassazione
Se l’assenza del lavoratore assume forme e viene attuata secondo modalità non compatibili con l’assistenza al familiare di cui alla legge 104, l’azienda o il datore di lavoro potrà applicare le regole del licenziamento disciplinare: questo è quanto emerge dalla citata ordinanza, che di fatto conferma la decisione di merito giunta al suo esame – in quanto pienamente conforme al suo orientamento.
Nel caso concreto la magistratura aveva previamente dichiarato la legittimità del licenziamento disciplinare intimato da una banca a una propria dipendente, che aveva fatto un uso ‘elastico’ dei permessi legge 104 per assistere un familiare portatore di handicap.
In causa emerse che la scelta del recesso, da parte dell’azienda, era legata ad un’assenza ingiustificata a seguito di anomali allontanamenti dal posto di lavoro, ma in stretta connessione con la fruizione di permessi 104 per assistere genitori malati.
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Fanno prova anche i controlli tramite agenti investigativi
I giudici di merito avevano ritenuto attendibili le prove datoriali, le quali infatti chiarivano che la donna – nelle ore dei permessi legge 104, si era in verità occupata principalmente di altre attività, diverse da quelle dell’accudimento e dell’assistenza ai familiari.
Nel procedimento in Cassazione emerge peraltro un aspetto molto interessante, per una pluralità di situazioni simili a quella trattata. Il giudice di legittimità ha infatti espresso un orientamento favorevole all’utilizzo dei controlli tramite agenzia investigativa esterna, atti appunto a verificare che il lavoratore – o la lavoratrice – si occupino effettivamente dei familiari, durante le ore di permesso legge 104.
E una solida giurisprudenza rimarca che il controllo svolto dall’agenzia investigativa è da ritenersi legittimo, laddove:
- non abbia ad oggetto l’effettivo adempimento della prestazione lavorativa;
- sia finalizzato a verificare singoli comportamenti che possano configurare ipotesi di reato o comportamenti punibili dal lato disciplinare.
In sintesi, il controllo investigativo, mirato all’accertamento dell’utilizzo improprio – da parte di un dipendente – dei permessi 104, è da ritenersi del tutto conforme alla legge.
Il concetto di prevalenza dell’attività di assistenza per i permessi Legge 104
La normativa di riferimento, come è noto, contiene una serie di disposizioni in materia di assistenza, integrazione sociale e diritti delle persone portatrici di handicap. In essa troviamo anche la previsione di agevolazioni ad hoc per i familiari dei disabili, tra cui i permessi legge 104.
Ebbene, la Cassazione – nella citata ordinanza del 12 marzo scorso – ha ricordato che la ratio del beneficio è ben precisa: l’assenza dall’ufficio del lavoratore, o della lavoratrice, deve sempre porsi in rapporto diretto con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto.
In altri termini, il familiare nelle ore di permesso dovrà adoperarsi continuativamente nelle attività di assistenza e cura – ad es. accompagnando il genitore anziano a fare visite o dandogli medicinali o ancora aiutandolo nella deambulazione – e garantendo dunque la sua presenza nel luogo in cui il familiare si trova.
Altrimenti – ricorda la Corte di Cassazione – lo svolgimento prevalente, o addirittura esclusivo, di attività diverse da quelle prettamente assistenziali, non potrà che integrare una violazione delle finalità della legge 104, in riferimento ai permessi ai dipendenti.
Le attività personali sono legittime soltanto se accessorie
D’altronde nella legge 104 – e nelle normative successive – non vi sono articoli o commi che istituiscono una sorta di deroga a questa regola generale dei permessi. Ben si comprende ciò, se pensiamo che il permesso legge 104 comporta un sacrificio organizzativo per l’azienda o datore di lavoro, giustificabile soltanto per la sussistenza di esigenze riconosciute dal legislatore – e meritevoli di superiore tutela.
In questo caso il diritto alla salute, e alla sua protezione, prevale sulle esigenze organizzative, ma a condizione che chi beneficia del permesso legge 104, dia effettivamente il suo apporto al familiare, garantendogli presenza costante durante le ore di permesso.
Ma attenzione: la Corte non nega a priori al lavoratore o alla lavoratrice di svolgere attività per se stesso, in quanto chi assiste un familiare grazie alla legge 104 ha comunque meno tempo per la propria sfera individuale, rispetto alla generalità dei colleghi.
Dette attività dovranno però sempre svolgersi in modo accessorio, e per un lasso di tempo ristretto, rispetto all’attività principale nelle ore di permesso, ossia l’accudimento e l’assistenza del familiare disabile.
Abuso permessi 104 e licenziamento: conclusioni
Nella citata ordinanza la Corte ha sottolineato che non è necessaria una stretta corrispondenza tra le ore di permesso e l’assistenza effettiva al familiare disabile, ma un utilizzo significativo di queste ore – in attività non legate direttamente all’assistenza stessa – dà luogo ad un abuso del diritto.
Detta condotta si oppone alle finalità istitutive del beneficio, ma anche ai principi di correttezza e buona fede nei confronti dell’azienda e dell’istituto di previdenza. Anzi quest’ultimo, laddove emergesse un effettivo abuso, potrebbe certamente richiedere – e ottenere – la restituzione dei contributi versati per i permessi legge 104 utilizzati in modo improprio.
La Cassazione ricorda altresì che è compito del singolo giudice di merito, presso il quale venga instaurata una causa relativa al licenziamento disciplinare per abuso dei permessi legge 104, valutare eventuali irregolarità – sulla base dell’accertamento in fatto della condotta tenuta dal lavoratore in costanza di beneficio.
E ciò anche tramite l’utilizzo dei servizi di agenzie investigative. Sarà dunque il singolo giudice a valutare circostanze, gravità, motivazioni e reiterazione del comportamento, tenendo conto che usare i permessi per altre finalità non è di per sé vietato, a patto che si tratti di attività svolte in limiti di tempo ragionevoli (ad es. spesa per generi alimentari per sé).
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