Il lavoratore part-time ha diritto al risarcimento dei danni se, nel contratto di lavoro non è ben determinata la distribuzione dell’orario nel giorno, nella settimana, nel mese e nell’anno. Lo ha stabilito la Cassazione con sentenza n. 27553 dello scorso 30 dicembre 2016.
L’orario di lavoro nel part-time deve essere ben stabilito
Specificatamente il contratto di lavoro part-time, prevedeva una durata minima della prestazione, inizialmente stabilita in 80 ore e, successivamente aumentate a 96, ma non la sua collocazione temporale. Inoltre la lavoratrice aveva l’obbligo di reperibilità con specifica sanzione disciplinare, quindi era costretta a rimanere in attesa della chiamata che avveniva con un preavviso minimo.
Il risarcimento danni al lavoratore dovuto per l’attività troppo gravosa
Già il Tribunale di secondo grado riconosceva il diritto al risarcimento dei danni al lavoratore, facendo riferimento anche alla sentenza n. 210/1992 della Corte costituzionale che chiaramente impone l’obbligo, nei contratti part-time di indicare “oltre alle mansioni, anche la distribuzione dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno”. Questa regola serve ad evitare che lo svolgimento della prestazione lavorativa diventi troppo gravosa per il lavoratore impedendogli di organizzare le altre attività (o anche la sola giornata) sia in casa che fuori casa.
Non è quindi legittimo un contratto part-time che lasci il datore di lavoro totalmente libero di determinare o di variare unilateralmente la collocazione temporale della prestazione lavorativa, perchè ciò toglierebbe al lavoratore la possibilità di programmare ad esempio altre attività con le quali integrare il reddito ricavato dal lavoro a tempo parziale.
La Cassazione ha quindi rigettato il ricorso del datore di lavoro, in quanto per giurisprudenza consolidata sul tema, affermando che se le clausole elastiche di un contratto part-time risultano illegittime non ne consegue l’invalidità del contratto, né la trasformazione del rapporto in contratto a tempo indeterminato, ma l’integrazione del trattamento economico, quale risarcimento dei danni subiti dallo stesso.
Infatti la la disponibilità alla chiamata del datore di lavoro pur non potendo essere equiparata a lavoro effettivo, deve comunque trovare adeguato compenso, vista la maggiore penosità ed onerosità della prestazione lavorativa.
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