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di Paolo Ballanti - 30 Settembre 2019
Il dipendente che si rende responsabile di comportamenti vietati dal contratto collettivo applicato o dal codice disciplinare rischia di incorrere in sanzioni disciplinari; queste sanzioni si dividono in due categorie: sanzioni conservative (rimprovero verbale, ammonizione scritta, multa, sospensione, trasferimento) o non conservative (licenziamento).
Prima di irrogare il provvedimento, la legge impone al datore di seguire un preciso iter disciplinare, pensato per consentire al dipendente di avere tutti i mezzi per difendersi e, nel caso, evitare la sanzione. Sono i contratti collettivi e i regolamenti aziendali a stabilire per ogni comportamento (e in base alla gravità dello stesso il provvedimento applicabile).
Può tuttavia accadere che un comportamento punibile con ammonizione scritta, venga sanzionato con la multa perché trattasi di recidiva.
Analizziamo la questione nel dettaglio.
A seconda della gravità della condotta le sanzioni disciplinari a disposizione dell’azienda sono:
Ad eccezione del rimprovero verbale, le altre misure devono rispettare precisi requisiti formali e di procedura, per consentire al dipendente di difendersi ed evitare così che la sanzione venga adottata.
La legge (art. 7 Legge n. 300/70 cosiddetto “Statuto dei lavoratori”) prevede che il datore di lavoro non possa adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del dipendente senza:
La contestazione dev’essere:
Vediamo ora i singoli provvedimenti.
L’ammonizione scritta è il provvedimento disciplinare adottato per le infrazioni di minor gravità.
Per i fatti più gravi di quelli sanzionabili con ammonizione scritta (o in caso di recidiva) i contratti collettivi o il codice disciplinare prevedono l’applicazione di una multa, che si realizza con una trattenuta in busta paga di un importo massimo corrispondente a 4 ore di retribuzione base.
Le somme trattenute per multa, salvo quelle destinate al risarcimento danni, vengono destinate all’INPS.
La sospensione disciplinare, senza che spetti alcuna retribuzione, può avere durata non superiore a 10 giorni.
Il trasferimento disciplinare, connesso ad una determinata condotta del dipendente, non dev’essere confuso con il trasferimento motivato da ragioni organizzative o di gestione dell’azienda.
Il licenziamento disciplinare è il provvedimento con cui il datore interrompe il rapporto di lavoro per motivi connessi a comportamenti del lavoratore tali da rompere la fiducia tra azienda e dipendente. Nella definizione di licenziamento disciplinare rientrano:
Nei primi la lesione del vincolo di fiducia tra le parti è talmente grave da permettere all’azienda di interrompere il rapporto immediatamente, quando lo stesso viene comunicato al licenziato, senza concedergli il periodo di tempo necessario per cercare un’altra occupazione (cosiddetto periodo di preavviso).
Nei licenziamenti per giustificato motivo soggettivo, invece, la lesione del vincolo di fiducia è grave ma non al punto da interrompere immediatamente il rapporto di lavoro, che dovrà proseguire per tutto il periodo di preavviso, la cui durata è stabilita dal contratto collettivo, fatti salvi diversi accordi tra datore e dipendente.
Leggi anche: Licenziamento disciplinare: tutto quello che c’è da sapere
I comportamenti che possono essere sanzionati sono tutti quelli richiamati dal contratto collettivo applicato in azienda. Lo stesso specifica, per ogni condotta, il relativo provvedimento. Le disposizioni del contratto collettivo sono poi riproposte nel codice disciplinare che dev’essere obbligatoriamente affisso in azienda.
Questo può tuttavia prevedere ulteriori condotte punibili o condizioni di miglior favore (ad esempio un comportamento punibile con il licenziamento secondo il contratto collettivo può essere sanzionato con una semplice multa da parte del codice disciplinare). E’ bene quindi che il dipendente abbia perfetta conoscenza dei contenuti del codice disciplinare.
Non possono essere sanzionati comportamenti non previsti dal codice disciplinare, ad eccezione, ha affermato la Cassazione, delle violazioni facilmente percepibili dal dipendente come illecite perché contrarie all’etica, a norme penali o ai generici obblighi del lavoratore (diligenza, fedeltà ed obbedienza).
Dal punto di vista formale la contestazione della condotta vietata deve avvenire in forma scritta. Sempre a garanzia del diritto di difesa del lavoratore: la forma scritta è finalizzata ad assicurare l’immutabilità dei fatti oggetto di contestazione, impedendo al datore di sollevare circostanze nuove.
La legge (sempre l’art. 7 Legge n. 300/70) impone un’apposita procedura per l’adozione di tutte quelle sanzioni che non siano il rimprovero verbale.
Leggi anche: Richiamo disciplinare sul lavoro: cos’è e come difendersi
L’eventuale provvedimento disciplinare dev’essere comunicato in forma scritta, specificando i motivi che lo hanno determinato e richiamando i comportamenti contestati al dipendente, oltre ad un riferimento alle eventuali giustificazioni dallo stesso presentate e alle ragioni per cui non sono state accolte.
Qualora si tratti di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, la lettera deve riportare anche il periodo di preavviso.
Una comunicazione al dipendente è dovuto anche qualora le giustificazioni siano state accolte e / o l’azienda abbia deciso di non irrogare alcuna sanzione.
L’azienda può disporre, contestualmente alla contestazione dell’addebito disciplinare, una sospensione in via cautelare del dipendente, quando i tempi della procedura sono incompatibili con la presenza al lavoro.
La sospensione ha fine nel momento in cui la procedura disciplinare si chiude.
Durante la sospensione il dipendente continua a percepire la retribuzione a meno che ciò non sia diversamente previsto dalla legge o specifici accordi.
La durata della sospensione non retribuita dipende dall’esito del procedimento disciplinare:
Se viene adottata una sanzione conservativa, il periodo non retribuito non può superare i 10 giorni;
Se la procedura si conclude con il licenziamento, il periodo non retribuito può coincidere con l’intera durata della sospensione e il rapporto si considererà interrotto retroattivamente dal momento della sospensione stessa.
Commette recidiva il dipendente che nell’arco di due anni si rende di nuovo responsabile di un comportamento che ha già dato luogo ad un precedente provvedimento disciplinare.
In caso di recidiva si deve comunque rispettare il normale iter disciplinare, a pena di nullità della sanzione.