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di Massima Di Paolo - 15 Ottobre 2009
La Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, ha stabilito che in caso di riassunzione dello stesso lavoratore con contratto di lavoro intermittente, pur se svolto a tempo determinato, non è necessario il rispetto del periodo minimo previsto dall’art. 5, comma 3, del d. lgs 368/2001 (ossia periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi).
Questa è la risposta del Ministero del Lavoro in merito all’istanza di interpello nr 72 del 12 ottobre 2009.
La domanda presentata dalla Federalberghi è volta a sapere se
“tra la cessazione di un contratto di lavoro intermittente a tempo determinato e la riassunzione dello stesso lavoratore alle medesime condizioni debba intercorrere il periodo minimo previsto dall’art. 5,comma 3, del D.Lgs. n. 368/2001 e se tale periodo minimo debba altresì intercorrere tra la cessazione di un contratto intermittente a tempo determinato e una successiva assunzione a tempo determinato (non intermittente)”.
La Direzione, ha precisato che il contratto di lavoro intermittente o a chiamata, rappresenta una particolare tipologia di contratto di lavoro alla quale si applica, per quanto compatibile, la normativa prevista per i rapporti di lavoro subordinato.
Inoltre, il lavoro intermittente, che ai sensi della relativa normativa può svolgersi a tempo determinato o indeterminato, ricorre nelle ipotesi, disciplinate dalla legge o dalla contrattazione collettiva, di prestazioni di lavoro discontinue o determinate in un arco temporale, individuate in ragione delle necessità del datore di lavoro.
Tuttavia, prosegue il ministero, “il ricorso al tempo determinato nelle prestazioni di lavoro intermittenti, non deve indurre a ritenere che al lavoro a chiamata si debba applicare la disciplina del lavoro a tempo determinato”. Infatti, come già evidenziato da questo Ministero con circ. n. 4/2005, per il lavoro intermittente non trova, in alcun modo, applicazione il D.Lgs n. 368/2001.
Nella circolare nr 4/2005 si è espressamente chiarito che se il contratto a chiamata è stipulato a tempo determinato comunque “non è applicabile la disciplina del decreto legislativo n. 368 del 2001 (ossia del lavoro a tempo determinato).
Si ricorda inoltre che i presupposti per la stipula di contratti a tempo determinato, non coincidono con i presupposti necessari per la legittimità di un contratto a chiamata. Infatti nel caso di contratti a tempo determinato, l’apposizione del termine è consentita solo “a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività del datore di lavoro” (art.1 D.lgs. 368/01) mentre, il lavoro a chiamata è connotato dalla modulazione flessibile della prestazione, impossibile da predeterminare a priori.
A seguito di queste considerazioni, il ministero afferma che:
In tal senso si ritiene del tutto coerente con la ratio sottesa agli istituti del contratto intermittente e del contratto a tempo determinato la stipulazione di entrambi pur senza soluzione di continuità nelle ipotesi in cui il datore di lavoro, in base alle proprie esigenze, dovrà non più assumere in via discontinua ma per un periodo determinato in base ad esigenze di carattere “tecnico, produttivo, organizzativo”.