Con la sentenza n. 94 del 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima una parte della storica Riforma Dini del 1995: quella che escludeva l’integrazione al minimo per gli assegni ordinari d’invalidità calcolati esclusivamente con il metodo contributivo.
Tradotto: chi percepisce un assegno troppo basso, pur avendo un’invalidità certificata, potrà ricevere un’integrazione che ne aumenta l’importo mensile. Ma attenzione: i benefici non sono retroattivi. La Consulta ha deciso che la novità vale solo per il futuro, a partire dalla pubblicazione della sentenza in Gazzetta Ufficiale.
Cos’è l’assegno ordinario d’invalidità e perché era penalizzato
L’assegno ordinario d’invalidità è una prestazione economica riconosciuta a chi, per gravi problemi di salute, ha visto ridursi almeno a un terzo la propria capacità lavorativa. Non è una pensione di vecchiaia: può essere richiesto anche da persone in età lavorativa, spesso con carriere discontinue o interrotte per malattia.
Il problema? Se calcolato con il solo sistema contributivo, cioè in base ai contributi versati e non alla media degli stipendi (come avveniva prima del 1996), non poteva essere integrato al minimo. Anche se l’importo era estremamente basso, non si poteva aggiungere nulla per raggiungere un livello minimo di sussistenza.
Questa esclusione, secondo la Corte, viola i principi di uguaglianza e tutela dei diritti fondamentali, perché trattava allo stesso modo situazioni profondamente diverse.
Perché la Corte ha deciso di cambiare le regole
Nel suo ragionamento, la Consulta ha evidenziato che l’assegno d’invalidità:
- è pensato per situazioni di bisogno oggettivo, spesso in giovane età e senza altre forme di reddito;
- non ha mai pesato direttamente sui fondi previdenziali, ma è finanziato dal sistema assistenziale tramite la fiscalità generale;
- ha sempre avuto una disciplina distinta rispetto alle pensioni ordinarie.
Insomma, non era giusto escludere chi riceve questo assegno solo perché rientra nel regime contributivo. Si tratta di persone che, a causa della propria condizione, non hanno potuto accumulare sufficienti contributi ma hanno comunque bisogno di un sostegno economico adeguato.
A chi spetta ora l’integrazione al minimo sull’assegno d’invalidità
Non tutti vedranno automaticamente un aumento dell’assegno. La sentenza riguarda esclusivamente:
- chi riceve un assegno ordinario d’invalidità calcolato interamente con il sistema contributivo;
- chi ha un importo mensile inferiore al minimo previsto;
- le situazioni future o in corso dal momento della pubblicazione della sentenza in poi.
Non ci sarà alcun rimborso per gli assegni percepiti negli anni passati. La Corte ha chiarito che l’integrazione vale solo in avanti, per evitare un impatto eccessivo sulla finanza pubblica.
Cosa cambia per i pensionati invalidi dal 2025 in poi
Dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale, l’INPS non potrà più escludere automaticamente l’integrazione al minimo per chi riceve l’assegno ordinario d’invalidità contributivo.
Questa novità rappresenta un aumento concreto per molti assegni oggi inferiori a 600 euro al mese. Per alcuni, l’integrazione potrà arrivare a colmare una differenza significativa, portando l’assegno su livelli più vicini a una soglia dignitosa.
Chi resta escluso dall’aumento dell’assegno d’invalidità
È importante essere chiari: non tutti riceveranno più soldi. Restano esclusi:
- coloro che già percepiscono l’assegno con una parte calcolata col metodo retributivo (misto);
- chi ha assegni superiori al minimo previsto;
- chi ha ricevuto l’assegno in passato ma non è più titolare;
- chi non ha i requisiti reddituali o personali per ricevere il sostegno integrativo.
Inoltre, l’integrazione non è automatica: sarà probabilmente necessario attendere una circolare INPS che dia istruzioni operative su come applicare la sentenza.
Una decisione di giustizia sociale, attesa da anni
Questa sentenza è un passo avanti nel riconoscimento di diritti troppo a lungo ignorati. Per molti, rappresenta un risarcimento morale, anche se limitato nel tempo. Il fatto che non si proceda agli arretrati può lasciare l’amaro in bocca, ma la portata della decisione resta di grande rilievo.
L’invalidità non può essere trattata come una scelta o una colpa. E quando lo Stato riconosce che ha sbagliato nel penalizzare chi è più fragile, anche solo per il futuro, è un segnale di civiltà.
Cosa fare adesso se si percepisce l’assegno d’invalidità contributivo
Se rientri tra i beneficiari potenziali:
- Controlla il tuo tipo di calcolo pensionistico: se è interamente contributivo, potresti rientrare nella nuova norma.
- Monitora il sito dell’INPS: verranno pubblicate indicazioni operative e aggiornamenti sugli importi.
- Consulta un patronato o CAF per avere conferma della tua posizione e, se necessario, avviare una richiesta formale per l’integrazione.
Per concludere…
Con questa sentenza, la Corte Costituzionale ha rimesso al centro una questione fondamentale: chi è invalido ha diritto a una vita dignitosa, indipendentemente dal numero di contributi versati. L’integrazione al minimo per gli assegni contributivi è un passo importante in questa direzione.
Ma resta il fatto che non tutti vedranno i benefici, e che chi ha subito per anni questa ingiustizia non verrà risarcito per il passato. Una riforma a metà? Forse. Ma intanto, per molti, da oggi si respira un po’ meglio.
Allego infine il testo del Comunicato Stampa della Consulta e il testo della Pronuncia 94/2025:
Corte Costituzionale, pronuncia 94-2025 (69,7 KiB, 0 hits)
Corte Costituzionale, Comunicato Stampa su pronuncia 94-2025 (118,0 KiB, 0 hits)