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di Daniele Bonaddio - 2 Novembre 2018
Gli intermediari di servizi e, più in generale, tutti i soggetti del settore terziario non devono versare i contributi alla cassa unica assegni familiari ovvero l’aliquota CUAF all’INPS. Questi ultimi, purché iscritti alla gestione I.V.S. e non professionisti, né artisti, non dovrebbero più versare alcunché a titolo di contribuzione per assegni al nucleo famigliare (ANF). Stiamo parlando, in particolare, di autoscuole, agenzie di pratiche automobilistiche, attività immobiliari, autostazioni, intermediari finanziari, studi fotografici, call center e così via.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 22665/2018, depositata il 25 ottobre scorso. La sentenza dà il via libera alla richiesta di rimborso di quanto finora versato e non dovuto. La richiesta può riguardare un arco temporale di 10 anni precedenti la domanda.
Il caso attiene all’individuazione della corretta categoria di appartenenza dei datori di lavoro per la corretta aliquota da applicare per la contribuzione relativa agli assegni familiari. In particolare una società chiedeva la condanna dell’Inps alla restituzione delle somme indebitamente versate maggiorate dagli interessi.
I giudici della Corte d’Appello di Venezia avevano rigettato la domanda proposta dalla società nei confronti dell’INPS avente ad oggetto l’accertamento del suo diritto ad applicare l’aliquota contributiva per gli assegni al nucleo familiare (ex CUAF). La diatriba riguarda l’interpretazione da dare al termine “commercianti”, al fine di determinare l’ambito di riferimento dell’aliquota.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società con un unico motivo, al quale ha resistito l’INPS con controricorso.
L’aliquota contributiva dovuta alla Cassa unica assegni familiari (in breve CUAF), disciplinata dall’art. 20 del D.L. 2 marzo 1974, n. 30, si differenza in base alle tipologie di datori di lavoro. In particolare è prevista l’applicazione del:
Da notare che dal 2006 l’aliquota prevista per i datori di lavoro di cui al punto 1 è zero. Mentre per i datori di cui al punto 5 è 0,68%.
I giudici della Suprema Corte hanno dato ragione all’azienda e condannato l’INPS. Al fine di individuare la corretta categoria di appartenenza dei datori di lavoro, la norma su citata deve essere pur sempre correlata con le norme che, via via, hanno previsto prima l’iscrizione nei predetti elenchi nominativi ai fini dell’assicurazione di malattia ed in seguito l’iscrizione alla gestione commercianti ai fini dell’I.V.S. Sul punto, la L. 23 dicembre 1996, n. 662, all’art. 1, c. 202 ha disposto l’estensione dell’assicurazione obbligatoria I.V.S. a tutti i soggetti del settore terziario, con l’esclusione dei soli professionisti ed artisti.
A seguito di tale modifica legislativa, l’INPS ha affermato che le attività del terziario non strettamente commerciali devono considerarsi escluse dall’esenzione di versamento del CUAF. Secondo l’Istituto previdenziale, infatti, la legge fa riferimento, letteralmente, ai soli “commercianti”, da intendere in senso stretto, come intermediari di beni.
Così facendo, l’INPS ha escluso dalla c.d. “aliquota ridotta” tutti i datori di lavoro del settore terziario che non siano, appunto, intermediari di beni.
Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la disposizione in questione va intesa come riferentesi anche agli intermediari di servizi e, più in generale, a tutti i soggetti del settore terziario.
In definitiva, tali datori di lavoro – in precedenza esclusi dall’esenzione del CUAF – purché iscritti alla gestione i.v.s. e non professionisti, né artisti, non dovrebbero più versare il CUAF. Ciò fa sì che i versamenti effettuati finora risultano non dovuti, con la possibilità quindi di chiedere il rimborso di quanto versato nei limiti prescrizionali. Si parla, infatti, di indebito oggettivo e vige la prescrizione decennale.