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Spiare il lavoratore attraverso il badge è vietato per la Cassazione

E' vietato spiare il lavoratore attraverso un badge che non si limiti a rilevare solo le entrate e le uscite dal luogo di lavoro


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di - 20 Luglio 2017

E’ vietato spiare il lavoratore attraverso un badge che non si limiti a rilevare solo le entrate e le uscite dal luogo di lavoro ma, anche ogni altra attività durante l’orario di lavoro quali ” le sospensioni, i permessi, le pause”.

Questo costituirebbe un modalità di controllo a distanza del lavoratore che, non può essere utilizzato senza preventivo accordo con le rappresentanze sindacali.

E’ questo quanto emerso dalla sentenza della Corte di Cassazione nr. 17531 del 14 luglio 2017.

Il fatto

Il caso ha riguardato un lavoratore licenziato a seguito di dati rilevati tramite badge dello stesso. Quindi l’azienda aveva di fatto usato il badge per spiare il lavoratore.

Sia il Tribunale di prime cure che la Corte d’Appello dichiaravano l’illegittimità del licenziamento disciplinare  inflitto al lavoratore  con ordine di reintegra. L’azienda ricorreva in Cassazione.

Per gli Ermellini, coerentemente con quanto deciso dalla Corte d’Appello, il badge in uso presso l’azienda, “con tecnologia RFID  consistente in un chip RFID contenuto nel badge e in un lettore badge collegato per mezzo della rete intenet all’ufficio personale”, consente  la trasmissione on line di “tutti i dati acquisiti tramite la lettura magnetica del badge del singolo lavoratore, riguardanti non solo l’orario di ingresso e di uscita, ma anche le sospensioni, i permessi, le pause”.

Così facendo, prosegue la Suprema corte, si realizza un controllo costante e a distanza circa l’osservanza da parte dei dipendenti) del loro obbligo di diligenza, sotto il profilo del rispetto dell’orario di lavoro”, rientrante nella fattispecie prevista dal secondo comma dell’art. 4 L. n.300/1970.

Il principio

E’ vietato usare il badge per spiare il lavoratore a distanza

In sostanza , cosi come strutturato il badge in questione è da considerarsi un vero e proprio strumento di controllo a distanza del lavoratore e non solo un rilevatore di presenza, soprattutto se si considera che, “il sistema in oggetto consente di comparare immediatamente i dati di tutti i dipendenti, realizzando così un controllo continuo, permanente e globale”.

Per fare ciò, si legge nella sentenza,  l’azienda avrebbe dovuto procedere ad un accordo con le rappresentanze sindacali e, essere autorizzato dall’ispettorato del lavoro proprio come garanzia del rispetto del lavoratore e dei suoi diritti a non essere controllato a distanza.

Un badge che oltre a rilevare le presenze in servizio è “utilizzabile anche in funzione di controllo dell’osservanza dei doveri di diligenza nel rispetto dell’orario di lavoro e della correttezza dell’esecuzione della prestazione lavorativa, non concordata con le rappresentanze sindacali, né autorizzata dall’ispettorato del lavoro, si risolve in un controllo sull’orario di lavoro e in un accertamento sul quantum della prestazione, rientrante nella fattispecie prevista dal secondo comma dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori”.

L’esigenza del datore di lavoro di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti, non può spingersi fino ad annullare ogni tipo di garanzia della  dignità e riservatezza del lavoratore. Soprattutto se tali comportamenti riguardino l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro, e non, la tutela di beni estranei al rapporto stesso. Pertanto il licenziamento disciplinare intimato sulla base delle risultanze dei dati del badge è illegittimo e, il lavoratore deve essere reintegrato nel posto di lavoro.

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Tags: Cassazioneprivacy