Una gradita sorpresa potrebbe arrivare per i lavoratori dipendenti dal DDL Lavoro: l’importo dei buoni pasto non soggetti a tassazione potrebbe passare da otto a dieci euro. Il documento – che in questo momento è all’esame della Commissione Affari Sociali, sanità e Lavoro del Senato – è stata accolta fin da subito in maniera positiva dalla Anseb, l’Associazione Nazionale delle Società Emettitrici di Buoni Pasto. Quest’ultima ha sottolineato come sia molto importante, per il settore produttivo, l’aumento dell’importo detassato quotidiano dei buoni pasto. Che dovrebbe passare da otto a dieci euro.
L’importanza della novità è stata sottolineata dalla presenza di alcuni rappresentanti dell’Anseb che sono intervenuti in audizione nella Commissione. E che hanno provveduto a diffondere immediatamente una nota, nella quale hanno ribadito che nell’attuale fase di congiuntura economica, contraddistinta da un alto tasso di inflazione, il buono pasto costituisce uno strumento efficace per garantire il potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti e delle loro famiglie.
Buoni pasto, importo in aumento da otto a dieci euro
L’importo dei buoni pasto non soggetto a tassazione potrebbe passare da otto a dieci euro. La novità coinvolge tutti quei lavoratori dipendenti che fanno pausa pranzo utilizzando questo strumento. Stiamo parlando di qualcosa come 4 milioni di lavoratori, che quotidianamente utilizzano i propri buoni pasto all’interno di uno dei 170 mila esercizi convenzionati che li accettano.
La notizia è stata diffusa proprio in questi giorni. Anseb è intervenuta in audizione nella commissione Affari sociali, Sanità e Lavoro del Senato, dove ha accolto positivamente la proposta con la quale si vuole aumentare il valore del buono pasto. O più correttamente aumenterà l’importo detassato, che, sostanzialmente, passa da 8 a 10 euro.
Un’operazione molto importante in un particolare periodo storico, che risulta essere condizionato pesantemente da un alto tasso di inflazione. Un provvedimento del genere permetterebbe di offrire un po’ di sollievo a molti lavoratori, che vedrebbero protetto il proprio potere d’acquisto e garantito un minimo adeguamento al costo della vita. Soprattutto quando si parla della pausa pranzo.
Ricordiamo, infatti, che l’inflazione sta incidendo pesantemente sui prezzi al consumo. Questo ha comportato un innalzamento generale delle spese connesse all’alimentazione. Andando a influenzare in maniera diretta e decisa i costi sostenuti nella pausa pranzo.
Prezzi al bar e al ristorante aumentati
L’inflazione si fa sentire sui pasti che i lavoratori devono consumare al bar o al ristorante. Il costo medio varia da 8,10 euro per un banalissimo panino con bevanda e caffè, per arrivare a 15 euro per un menù completo. Questa situazione ha fatto sì che la pausa pranzo non diventasse un semplice break dal lavoro alla portata di tutti, ma si trasformasse in una spesa che deve essere valutata con la dovuta attenzione.
Questo è uno dei motivi per i quali stanno aumentando le aziende che hanno scelto il buono pasto come benefit per i propri lavoratori. Uno strumento attraverso il quale contemperare le proprie esigenze di produttività con quelle di welfare aziendale a beneficio dei dipendenti. Complessivamente oggi sono almeno 150 mila le imprese che utilizzano i buoni pasto.
Anseb ha fatto notare che l’aumento detassato dei ticket restaurant da otto a dieci euro è una notizia che renderà felici 4 milioni di lavoratori. Ma avrebbe anche degli effetti positivi che andrebbero a ripercuotersi direttamente sulla rete dei merchant e sui consumi.
Come sono tassati i buoni pasto oggi
Oggi come oggi i buoni pasto sono esentasse sotto i quattro euro quando sono cartacei e otto euro quando sono elettronici. Oltre questa cifra diventano imponibili e concorrono a formare il reddito del lavoratore dipendente. O, comunque vada, del contribuente che li ha percepiti.
Facciamo un esempio molto semplice. Il lavoratore che abbia percepito dei buoni pasto in formato elettronico del valore di dieci euro per 250 giornate elettroniche, vedrà aumentare il proprio reddito imponibile ai fini IRPEF di 500 euro. L’importo corrisponde ai due euro giornalieri di eccedenza moltiplicati per i 250 giorni che il lavoratore li ha percepiti.
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Questi 500 euro si andranno ad aggiungere alla retribuzione globale percepita, sulla quale il dipendente dovrà pagare le tasse in base allo scaglione di reddito IRPEF a cui appartiene.
Volendo sintetizzare al massimo, il superamento del limite di importo giornalista fa sì che i buoni pasto non rientrino più tra i fringe benefit esentasse. Non costituiscono più una retribuzione aggiuntiva erogata in una forma diversa dal denaro. Ma ai fini del trattamento fiscale viene considerata come parte della retribuzione. Questo è il motivo per il quale l’aumento dei due euro a buono pasto diventa molto importante.
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