L’Istat ha presentato oggi, alla presenza del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano e di numerosi rappresentanti del Governo e del Parlamento, la diciannovesima edizione del Rapporto annuale sulla situazione del Paese. Nessuna buona nuova per l’Italia, soprattutto se si parla di lavoro e di pari opportunità
“Per l’Italia la crisi ha messo in evidenza i nodi di fondo del mercato del lavoro, dalle forti disparità territoriali alle difficoltà di inserimento dei giovani, dalla sua segmentazione tra italiani e stranieri all’elevato numero di persone che rinunciano alla ricerca di un’occupazione”.
Nel 2010, spiega il rapporto, la riduzione occupazionale ha riguardato prevalentemente l’occupazione permanente a tempo pieno, interessando soprattutto le professioni più qualificate e il settore della trasformazione industriale, mentre è proseguita la crescita dell’occupazione nelle professioni non qualificate e nel terziario tradizionale. Nell’ultima parte del 2010 è poi tornato a crescere il lavoro atipico.
Insieme alla discesa dell’occupazione, le aree della disoccupazione e dell’inattività hanno continuato a espandersi, seppur con un ritmo meno intenso. L’incremento della disoccupazione ha riguardato tutte le classi di età e le diverse aree territoriali, soprattutto il Mezzogiorno.
Manco a dirlo i più colpiti dalla crisi sono i soliti giovani e le donne: I giovani (18-29 anni) occupati hanno subito una perdita di 482 mila unità nel biennio 2009-2010. Il tasso di occupazione specifico, è diminuito negli ultimi due anni di circa sei punti percentuali. Nel 2010 era occupato circa un giovane su due nel Nord e meno di tre su dieci nel Mezzogiorno.
Si riducono le chance per i giovani di passare da un lavoro atipico a uno standard: ogni 100 giovani con contratto atipico nel primo trimestre 2009, solo 16 sono occupati stabilmente dopo un anno (10 in meno dell’anno precedente), mentre è cresciuta l’incidenza di quelli rimasti occupati a tempo determinato o con un rapporto di collaborazione (da 51 nel 2008-2009 a 60 nel 2009-2010).
Di conseguenza, continua il rapporto, la quota di giovani occupati con contratti a tempo determinato o collaborazioni è del 30,8 per cento: si tratta di più di un milione di unità.
Crescono il part-time e lavoro flessibile: nello scorso anno si è registrato un sensibile calo dell’occupazione standard (-297 mila unità in media d’anno). All’opposto è emerso, a partire dall’autunno, un recupero dell’occupazione a orario ridotto e, negli ultimi mesi, di quella a termine. L’incremento del part time, esclusivamente concentrato nella componente involontaria (ossia svolto in mancanza di lavori a tempo pieno), riguarda soprattutto il commercio, la ristorazione, i servizi alle famiglie e alla persona.
La crescita del lavoro a termine ha interessato l’industria in senso stretto, il commercio e la ristorazione. A fronte di un recupero ancora incerto dell’attività economica, la riattivazione della domanda di lavoro si è incanalata soprattutto verso assunzioni con contratti flessibili.
I neet
Nel 2010 è aumentato il numero delle persone tra 15 e 29 anni fuori dal circuito formativo e lavorativo (Neet). Si tratta di 2,1 milioni di unità, 134 mila in più dell’anno precedente, pari al 22,1 per cento della popolazione di questa età, una quota nettamente superiore a quella tipica degli altri paesi europei.
Un terzo dei Neet è disoccupato, un terzo è non disponibile a lavorare e un terzo fa parte della “zona grigia”.
Quasi un quarto delle giovani è Neet, contro un quinto dei giovani. I Neet maschi vivono nell’87,5 per cento dei casi nella famiglia di origine, mentre per le giovani ciò avviene solo nel 56 per cento dei casi: 450 mila donne che appartengono a questa categoria sono partner o madri e molte di loro si dichiarano “casalinghe”.
Poco più della metà dei Neet che vive con i genitori proviene dalla classe operaia, a fronte di percentuali del 30 per cento tra gli studenti e del 42 per cento tra gli occupati.
Le donne
Nel corso del 2010, a fronte della stabilità dell’occupazione femminile, è peggiorata la qualità del lavoro delle donne: è diminuita, infatti, l’occupazione qualificata, tecnica e operaia ed è aumentata quella a bassa specializzazione, dalle collaboratrici domestiche alle addette ai call center.
La crisi ha ampliato i divari tra l’Italia e l’Unione europea nella partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Per il gentil sesso cresce il part time involontario. Il tasso di occupazione delle donne italiane è inferiore alla media europea.
Ancora più contenuto il tasso occupazionale per le madri: non a caso più di un quinto delle donne con meno di 65 anni occupate, o che sono state tali in passato, dichiara di aver interrotto l’attività lavorativa nel corso della vita a seguito del matrimonio, di una gravidanza o per altri motivi familiari, contro appena il 2,9 per cento degli uomini. Per le donne che hanno avuto figli la quota sale al 30 per cento; nella metà dei casi la causa dell’interruzione è proprio la nascita di un figlio.
La scelta obbligata per le donne: il lavoro o i figli
Sono circa 800 mila (quasi il nove per cento delle madri che lavorano o hanno lavorato in passato) le donne che, nel corso della loro vita, sono state licenziate o messe in condizione di lasciare il lavoro perché in gravidanza, e solamente quattro su dieci hanno poi ripreso il percorso lavorativo. Un fenomeno che colpisce soprattutto le giovani generazioni (il 13,1 per cento tra le madri nate dopo il 1973) e le donne residenti nel Mezzogiorno.
In un Paese in cui le politiche di conciliazione lavoro-famiglia non hanno ancora realizzato la flessibilità organizzativa caratteristica di altri paesi europei, alle difficoltà che le donne incontrano nel mercato del lavoro si associa lo squilibrio nella distribuzione dei carichi di lavoro complessivi.
Per una donna, avere un’occupazione e dei figli continua a tradursi in un sovraccarico di lavoro di cura, mentre per gli uomini il coinvolgimento nel lavoro familiare mostra una contenuta progressione nell’arco degli ultimi venti anni, soprattutto per quello orientato alla cura dei figli.
Ancora lontani gli obbiettivi Europa 2020
Gli ambiti sui quali la Strategia fissa i propri obiettivi, da raggiungere nel 2020, sono cinque:
- aumento delle spese di Ricerca e Sviluppo (R&S), fino a raggiungere il tre per cento del Pil;
- miglioramento del capitale umano, definito come una riduzione degli abbandoni scolastici sotto la soglia del 10 per cento e un incremento al 40 per cento della quota di popolazione tra i 30 e i 34 anni con istruzione universitaria o equivalente;
- aumento dell’occupazione, fino a raggiungere un tasso di occupazione del 75 per cento per la popolazione tra i 20 e i 64 anni;
- riduzione della povertà e dell’esclusione sociale, con l’obiettivo di far uscire da tale condizione 20 milioni di persone;
- miglioramento dell’efficienza energetica e delle condizioni ambientali, definito come una riduzione del 20 per cento delle emissioni di gas serra rispetto al 1990, un incremento al 20 per cento della quota delle fonti rinnovabili sul consumo finale interno lordo di energia e un aumento del 20 per cento dell’efficienza energetica.
Ancora lontano il primo obbiettivo per l’Italia: la media europea del rapporto tra spesa in R&S e Pil è attualmente poco sotto il due per cento: l’Italia si attesta all’1,23 per cento.
Per ciò che riguarda il capitale umano, ancora poco sono i laureati italiani: nel 2009 più di un terzo dei paesi dell’Unione europea aveva già raggiunto la quota del 40 per cento di 30-34enni in possesso di un’istruzione terziaria: l’Italia presenta, invece, un valore molto basso di questo indicatore (19,8 per cento nel 2010), collocandosi al quart’ultimo posto nella graduatoria europea.
In merito al tasso di occupazione, se il traguardo di Europa 2020 per l’occupazione dei 20-64enni è fissato al 75 per cento, la media attuale è pari al 68,6 per cento, con forti differenze tra uomini e donne (rispettivamente al 75,1 e al 62,1 per cento).
L’Italia è agli ultimi posti della classifica (61,1 per cento) ed è anche uno dei paesi con i più rilevanti divari di genere: infatti, mentre per gli uomini il tasso di occupazione nel 2010 si colloca al 72,8 per cento (un valore prossimo al traguardo), per le donne è al 49,5 per cento, distante oltre 25 punti dall’obiettivo europeo.
Sull rischio povertà, la quota di famiglie con grave deprivazione è inferiore alla media europea (rispettivamente 7,0 e 8,1 per cento). Circa il nove per cento delle famiglie italiane presenta un’intensità lavorativa molto bassa, un valore simile a quello registrato a livello europeo. Anche in termini dinamici, l’Italia mostra una tendenza alla riduzione analoga a quella dell’Unione.
Il testo integrale del rapporto lo trovate qui