X

Mancato pagamento dello stipendio: cosa fare se il datore di lavoro non paga

Come deve comportarsi il dipendente se il datore di lavoro non paga la retribuzione e quali strumenti ha disposizione? Analisi completa


>> Entra nel nuovo Canale WhatsApp di Lavoro e Diritti

di - 22 Novembre 2021

Cosa può e deve fare il dipendente in caso di mancato pagamento dello stipendio? A fronte della prestazione lavorativa garantita dal dipendente l’obbligo in capo al datore di lavoro è quello di riconoscere il compenso al termine del periodo di paga e comunque nel rispetto delle scadenze eventualmente previste dal contratto collettivo o dagli usi aziendali.

Il ritardo o l’omesso pagamento della retribuzione rappresenta un grave inadempimento da parte del datore di lavoro, tale da motivare le dimissioni per giusta causa con effetto immediato, senza concedere il periodo di preavviso all’azienda.

Il lavoratore coinvolto in queste situazioni, ha numerosi mezzi per difendersi e far valere le proprie pretese retributive e non perdere i propri crediti di lavoro. I primi passi da compiere sono dei tentativi di risoluzione bonaria della problematica.

Soltanto se il problema persiste, nonostante i tentativi “pacifici” del lavoratore, questi potrà ricorrere in tribunale o all’Ispettorato del lavoro per accedere alla diffida accertativa per crediti patrimoniali. Senza dimenticare poi che nei casi di insolvenza dell’azienda può intervenire il Fondo di garanzia INPS, il quale procederà, previa domanda del lavoratore, a liquidare TFR ed altri crediti retributivi.

Mancato pagamento dello stipendio: cosa fare? La check-list per il lavoratore

Cosa fare se il datore di lavoro non paga? Vediamo nel dettaglio la check-list per il lavoratore in caso di mancato pagamento delle retribuzioni.

1. Richiesta di chiarimenti al datore di lavoro

A fronte del mancato (o ritardato) pagamento di una o più buste paga, il primo passo è quello di chiedere spiegazioni al datore di lavoro / responsabile del personale.

Se il confronto risulta infruttuoso, il lavoratore può inviare una richiesta scritta all’azienda inviata a mezzo raccomandata A/R o consegnata a mano e firmata dal destinatario per ricevuta e presa visione. In alternativa è possibile trasmettere il documento via mail / pec.

La missiva dovrà sostanzialmente chiedere spiegazioni sull’omessa corresponsione dello stipendio.

2. Rivolgersi al sindacato o ad un legale

Rivelatesi insoddisfacenti le domande orali e scritte, il lavoratore potrà rivolgersi:

Il soggetto scelto si occuperà di prendere contatto a livello informale con l’azienda, al fine di risolvere la questione.

Leggi anche: vertenza sindacale

3. Passaggi successivi

Una volta tentate, senza successo, le vie bonarie, al dipendente non resta che far ricorso:

Se il datore di lavoro non paga la seconda opzione è senza dubbio quella che comporta per il lavoratore un maggior dispendio di energie e soldi, soprattutto in spese legali.

In qualsiasi momento, peraltro, il lavoratore può risolvere il rapporto rassegnando le dimissioni per giusta causa.

Conciliazione monocratica presso l’ispettorato del lavoro: la diffida accertativa

Il dipendente può segnalare, in autonomia o per il tramite del sindacato, all’Ispettorato del lavoro territorialmente competente il mancato pagamento delle retribuzioni.

Di norma l’ITL, se ritiene ci siano i presupposti per una definizione bonaria della controversia, attiva la cosiddetta “conciliazione monocratica preventiva”, il cui obiettivo è evitare, a tutela delle parti coinvolte, l’ispezione diretta in azienda.

La procedura, riservata alle sole questioni riguardanti diritti patrimoniali dei lavoratori, prevede innanzitutto la convocazione dei soggetti interessati: dipendente e datore di lavoro.

Leggi anche: Diffida accertativa per crediti patrimoniali: procedure di conciliazione

Questi possono presentarsi al funzionario incaricato:

Il compito dell’ispettorato / conciliatore è innanzitutto quello di evidenziare alle parti (in particolare all’azienda) le possibili conseguenze in caso di ispezione sul luogo di lavoro.

Al termine della conciliazione, in caso di:

Ispezione sul lavoro

Qualora, a seguito dell’ispezione, vengano accertati crediti retributivi derivanti da omesso pagamento delle buste paga, i funzionari competenti possono diffidare l’azienda a corrispondere le somme in questione direttamente al lavoratore.

Leggi anche: cos’è e come si svolge un’ispezione sul lavoro

L’azienda può reagire promuovendo, entro 30 giorni dalla notifica della diffida, un tentativo di conciliazione in ITL, con le stesse modalità di svolgimento già viste per la conciliazione monocratica. L’effetto è quello di sospendere sino al termine della procedura l’esecutività della diffida.

In alternativa, il datore può inoltrare ricorso al direttore dell’ufficio che ha emanato il provvedimento. Anche in questo caso l’effetto è quello di sospendere l’efficacia della diffida. La decisione sul ricorso è adottata entro 60 giorni dalla presentazione dello stesso.

Decorsi i termini per inoltrare ricorso o per esperire il tentativo di conciliazione, ovvero nel caso in cui le parti non pervengano ad un accordo o a fronte del rigetto del ricorso, la diffida acquista efficacia di titolo esecutivo, dando al dipendente la possibilità di agire per soddisfare i propri crediti.

Stipendi non pagati: decreto ingiuntivo (o ingiunzione di pagamento)

Se il datore di lavoro non paga la retribuzione, ma c’è comunque la busta paga, in alternativa all’Ispettorato del lavoro il dipendente può tentare la via del ricorso al Tribunale competente, in funzione di giudice del lavoro, al fine di ottenere un decreto ingiuntivo.

In tal senso assumerà valore di prova scritta la busta paga rilasciata dal datore di lavoro.

Leggi anche: Decreto ingiuntivo: cos’è e come funziona nel diritto del lavoro

Il ricorso dovrà essere preceduto da:

Una volta depositata l’istanza per decreto ingiuntivo presso la cancelleria del tribunale, il giudice ha 30 giorni di tempo per pronunciarsi.

L’accoglimento del ricorso comporta l’adozione del decreto vero e proprio, con l’invito al datore di lavoro di adempiere al pagamento entro 40 giorni dalla notifica.

Nel caso in cui questi:

entro il termine sopracitato, il lavoratore potrà chiedere l’apposizione della formula esecutiva e, spirati 10 giorni dalla notifica, avviare l’esecuzione forzata nei confronti dell’azienda, al fine di soddisfare il proprio credito.

Sempre nell’ambito del ricorso in tribunale, il dipendente può chiedere l’esecuzione provvisoria, caratterizzata dal termine “breve” concesso all’azienda, 10 giorni anziché 40 decorrenti sempre dalla notifica del titolo esecutivo adottato dal giudice, per soddisfare le pretese economiche dell’interessato.

Peraltro, in caso di accertato grave pregiudizio per il lavoratore derivante dal ritardo nel pagamento del compenso, il giudice può imporre il pagamento di una cauzione.

Dimissioni per giusta causa

Il mancato o ritardato pagamento della retribuzione è considerato dalla giurisprudenza di merito e di Cassazione, come un esempio di grave inadempimento del datore di lavoro, tale da:

E’ importante precisare che, a fronte di stipendi non pagati, il dipendente che decide di procedere con le dimissioni per giusta causa è tenuto a rassegnarle nel più breve tempo possibile. Un eventuale ritardo correrebbe il rischio di essere interpretato, in sede di controversia giudiziale con il datore di lavoro, come un’accettazione tacita, da parte del dipendente, della condotta del datore di lavoro, tale da compromettere la validità stessa delle dimissioni per giusta causa.

Dal punto di vista della procedura da rispettare, nulla cambia rispetto ai casi di dimissioni ordinarie. A pena di inefficacia, la volontà di interrompere il rapporto dev’essere formalizzata esclusivamente con modalità telematica, utilizzando i moduli resi disponibili dal Ministero del lavoro e trasmessi, in autonomia o avvalendosi di intermediari abilitati, al datore di lavoro ed all’ITL competente.

Nel compilare le dimissioni online il dipendente dovrà indicare:

Ritardo pagamento stipendio

In caso di ritardo nel pagamento dello stipendio bisogna stare attenti con le dimissioni per giusta causa. Normalmente infatti il ritardo è considerato giusta causa di dimissioni solo se questo è reiterato nel tempo. Cioè non che se il datore di lavoro paga in ritardo un mese scatta subito il diritto a dimettersi…

NASpI, indennità di preavviso, TFR ecc.

A seguito delle dimissioni per giusta causa il dipendente avrà diritto a:

Intervento del Fondo di garanzia

Nei casi di impossibilità del datore di lavoro ad erogare la retribuzione, a causa di procedure concorsuali:

il pagamento del TFR e di altri crediti maturati negli ultimi 3 mesi del rapporto di lavoro, avviene da parte del Fondo di garanzia istituito presso l’INPS.

L’intervento del Fondo, attivabile previa domanda del lavoratore, è garantito (per le aziende che non rientrano nel campo di applicazione delle procedure concorsuali) a seguito di ricorso in tribunale per la tutela dei crediti di lavoro e del tentativo (infruttuoso) di esecuzione forzata da parte del dipendente.

Le news di LavoroeDiritti.com su WhatsApp

ENTRA NEL CANALE

I video di LavoroeDiritti.com su YouTube

ISCRIVITI AL CANALE

Le news di LavoroeDiritti.com su Telegram

ENTRA NEL GRUPPO

Tags: Busta Paga