Il compenso spettante al professionista residente in UK in regime “resident but not domicilied”, per la propria attività prestata in favore di un committente italiano, deve essere assoggettato a ritenuta a titolo d’imposta del 30%.
Si è espressa in tal senso la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, con la pronuncia n. 169 del 18 gennaio scorso.
Di seguito i dettagli.
Professionista residente in UK e prestazioni in Italia: il motivo del contendere
L’Agenzia delle entrate ha inviato ad un contribuente italiano, nel caso specifico si trattava di una SRL, un avviso di accertamento contestando l’omessa applicazione delle ritenute di cui all’art.25 del DPR comma 2 del DPR 600/73.
Salvo quanto disposto nell’ultimo comma del presente articolo, se i compensi e le altre somme di cui al comma precedente sono corrisposti a soggetti non residenti, deve essere operata una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30 per cento, anche per le prestazioni effettuate nell’esercizio di imprese. Ne sono esclusi i compensi per prestazioni di lavoro autonomo effettuate all’estero e quelli corrisposti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.
Secondo l’Agenzia delle entrate, l’effettuazione della ritenuta trovava fondamento nel fatto che colui che ha effettuato la prestazione e maturato il relativo compenso, non potesse beneficiare della previsione di cui all’articolo 14 della convenzione tra Italia e UK contro le doppie imposizioni.
Grazie a tale disposizione, il libero professionista è soggetto a imposizione solo nello stato di residenza, ricorrendo la condizione ostativa della disponibilità di una “base fissa” in Italia per lo svolgimento dell’attività professionale.
Dunque, in tal modo, viene intercettata la doppia imposizione, ammenoché nell’altro stato contraente (stato del committente, Italia nel caso specifico) non disponga abitualmente di una base fissa per l’esercizio della sua attività.
Infatti, se il professionista dispone di tale base fissa, i redditi sono imponibili nell’altro Stato ma unicamente nella misura in cui sono attribuibili a detta base fissa.
In tale contesto, quanto si parla di libera professione, si fa riferimento alle attività indipendenti di carattere scientifico, letterario, artistico, educativo o pedagogico, nonché le attività indipendenti dei medici, avvocati, ingegneri, architetti, dentisti e contabili.
Il ricorso del contribuente
Avverso l’avviso di accertamento, l’SRL ha proposto ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, di Milano, che lo accoglieva. Posto che secondo la Corte non era riconducibile al professionista alcuna base fissa di lavoro.
Da qui, l’Agenzia delle entrate, parte resistente in giudizio, ricorreva alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado. Per i motivi su esposti, alla base dell’emissione dell’avviso di accertamento e posto che, secondo la stessa Agenzia, il professionista nel caso specifico, disponeva in Italia di una “base fissa”.
La base fissa era identificata negli studi televisivi e nelle connesse risorse materiali nonché umane che la SRL destinataria dell’accertamento metteva a disposizione del professionista.
L’Agenzia delle entrate, lamentava anche il fatto che in sede di Corte di Giustizia di primo grado, non erano state altresì prese in considerazione le disposizioni di cui all’art.17 della stessa convenzione.
I redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dalle sue prestazioni personali esercitate nell’altro Stato contraente in qualità di artista dello spettacolo, quale artista di teatro, del cinema, della radio o della televisione o in qualità di musicista, nonché di sportivo sono imponibili in detto altro Stato.
Quando i redditi derivanti da prestazioni che un artista dello spettacolo o uno sportivo esercita personalmente ed in tale qualità sono attribuiti ad una persona diversa dall’artista o dallo sportivo medesimo, detti redditi sono imponibili nello Stato contraente in cui le prestazioni dell’artista o dello sportivo sono esercitate, nonostante le disposizioni degli articoli 7, 14 e 15 della presente Convenzione.
Dunque, i soggetti non residenti sono tassati in base ai soli redditi prodotti in Italia, mediante l’applicazione di una ritenuta alla fonte a titolo di imposta.
La sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia
La Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della della Lombardia, pur constatando come il professionista in questione fosse soggetto al regime fiscale, previsto nel Regno Unito, di “residente non domiciliato” (“resident but not domicilied”), che comporta l’imponibilità nel paese di residenza (Regno Unito) per i soli redditi ivi prodotti, e la non imponibilità dei redditi di fonte estera, salvo il loro trasferimento nel Regno Unito, dava ragione all’Agenzia delle entrate, ma sulla base di presupposti “normativi” diversi da quelli eccepiti da quest’ultima.
Posto che, nel caso specifico, mancava anche qualsiasi prova del trasferimento del reddito nostrano in UK.
Infatti, secondo la Corte, in considerazione dello stato di residente non domiciliato del professionista a cui è stato corrisposto il compenso, non può trovare applicazione la convenzione contro le doppie imposizioni. In particolare, in applicazione dell’art.4 della stessa convenzione, l’espressione “residente di uno stato contraente” non comprende le persone che sono imponibili in tale Stato soltanto per i redditi provenienti da fonti lì situate. Come nel caso dei “residenti non domiciliati” nel Regno Unito.
Da qui, nel caso specifico, considerata l’inapplicabilità della convenzione contro la doppia imposizione, il professionista non aveva subito imposizione alcuna. Né in Italia né nel Regno Unito. Posto che, mancava anche qualsiasi prova del trasferimento del reddito nostrano in UK.
In conclusione, in considerazione della ricostruzione fatta finora, si applicano le ordinarie regole fiscali; in applicazione dell’art.25 del DPR comma 2 del DPR 600/73, l’SRL avrebbe dovuto applicare la ritenuta del 30% a titolo d’imposta.
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