Con la sentenza n. 120 del 2025, la Corte Costituzionale ha stabilito un principio fondamentale: i lavoratori conviventi con il proprio datore di lavoro non perdono automaticamente il diritto agli assegni familiari. La convivenza di fatto, dunque, non può essere trattata alla stregua di un vincolo matrimoniale in modo tale da escludere la prestazione, a meno che non vi siano elementi concreti che giustifichino un sospetto di abuso o elusione.
Questa decisione chiarisce un aspetto importante e finora poco definito della normativa previdenziale, legato all’evoluzione delle forme familiari nella società italiana. Ma non solo: potrebbe costituire un precedente utile per estendere maggiori tutele anche ad altri strumenti del welfare, dalle detrazioni fiscali ai congedi parentali, rafforzando la parità di trattamento tra famiglie tradizionali e famiglie di fatto.
Il caso: una lavoratrice convivente e l’assegno contestato
Tutto nasce da un contenzioso tra l’INPS e una lavoratrice dipendente convivente con il datore di lavoro, padre dei suoi figli. L’Istituto aveva contestato l’erogazione dell’assegno familiare, sostenendo che la convivenza fosse assimilabile al matrimonio, caso in cui la legge esclude espressamente il beneficio (art. 2 del DPR 797/1955).
La Corte d’appello di Venezia ha sollevato la questione di costituzionalità, ritenendo che la differenza di trattamento tra coniuge e convivente, ai fini dell’accesso all’ANF, potesse violare i principi di uguaglianza (art. 3) e protezione sociale (art. 38) della Costituzione.
Cosa dice davvero la Corte: la norma è coerente e legittima
La Corte Costituzionale ha respinto i dubbi di legittimità: la normativa non viola la Costituzione e non discrimina il convivente di fatto. La ratio della norma che esclude il coniuge del datore di lavoro – evitare un’autoprestazione o “autofinanziamento” – non può essere automaticamente estesa ai conviventi, in quanto giuridicamente distinti.
Ma attenzione: questo non significa che la convivenza dia diritto agli assegni familiari. Secondo la legge vigente (art. 2, comma 6, del DL 69/1988), il nucleo familiare ai fini ANF comprende solo coniugi e figli, non i conviventi di fatto, a meno che non sia stato stipulato un contratto di convivenza ai sensi della legge n. 76/2016.
In sostanza:
- Il convivente del datore di lavoro non è escluso dall’ANF perché non è incluso di base nella normativa.
- La norma è coerente, perché non considera la convivenza né per concedere né per escludere l’assegno.
Assegni familiari: chi ha diritto e quando conta la convivenza
La normativa italiana distingue in modo netto tra matrimonio e convivenza. Gli assegni familiari spettano a:
- Lavoratori dipendenti con coniuge e figli fiscalmente a carico;
- Altri componenti del nucleo, solo se previsti dalla legge (non conviventi generici).
La convivenza di fatto rileva solo se formalizzata con un contratto registrato, come stabilito dall’art. 1, comma 50, della legge 76/2016. Senza quel passaggio, il convivente non fa parte del nucleo rilevante ai fini ANF.
Una decisione che rafforza la coerenza normativa, ma che lascia aperti alcuni scenari
La sentenza della Consulta non amplia il diritto, ma ribadisce la coerenza della normativa attuale, in cui l’assegno non spetta ai conviventi, ma non può nemmeno essere negato con la scusa della convivenza “equivalente al matrimonio”. Questo chiarimento, pur non cambiando la legge, potrebbe avere effetti pratici in sede INPS e giurisprudenziale, evitando interpretazioni troppo estensive o restrittive.
In prospettiva, potrebbe riaccendersi il dibattito sulla possibilità di aggiornare la normativa in senso più inclusivo, estendendo il riconoscimento anche alle famiglie di fatto regolarmente registrate.
Normativa di riferimento
- D.P.R. 797/1955, art. 2 – Esclusione ANF al coniuge del datore di lavoro
- D.L. 69/1988, art. 2, comma 6 – Composizione del nucleo per l’ANF
- Legge 76/2016, art. 1, commi 36-65 – Contratti di convivenza
- Costituzione italiana, artt. 3 e 38 – Uguaglianza e tutela sociale
Conclusioni: nessuna rivoluzione, ma una conferma importante
La sentenza n. 120/2025 non cambia i diritti previsti dalla legge, ma chiarisce che la convivenza non è causa di esclusione automatica. Chi convive con il proprio datore di lavoro non viene discriminato, ma resta fuori dall’assegno se non c’è un contratto formale.
Una decisione che rafforza la chiarezza e la coerenza del sistema, evitando presunzioni pericolose sia in senso favorevole che restrittivo. E che potrebbe – in futuro – essere la base per una revisione legislativa in linea con l’evoluzione delle famiglie italiane.