Con un provvedimento adottato a marzo 2025 e reso noto nella newsletter dell’8 maggio 2025, il Garante per la Privacy ha chiarito che le aziende non possono geolocalizzare i lavoratori dipendenti in smart working.
Il caso riguarda un ente pubblico che tracciava la posizione di circa 100 dipendenti tramite un’app per la timbratura da remoto. Se il sistema rilevava che il dipendente non si trovava nel luogo previsto dal contratto di lavoro agile, partivano controlli e contestazioni disciplinari. Tutto questo è stato giudicato illegittimo, perché non rispettava le norme sulla protezione dei dati personali. Ecco tutto nei dettagli.
Lavoro agile non significa essere tracciati
Il lavoro agile nasce per essere flessibile: non prevede vincoli di orario o di luogo, ma si basa sulla fiducia e sul raggiungimento degli obiettivi. Geolocalizzare una persona mentre lavora da casa, da una biblioteca o da un’altra località è una forma di controllo invasiva, che mette a rischio la privacy e la dignità del lavoratore.
Pensiamo a un esempio pratico. Se lavori da remoto e decidi di passare due giorni a casa di un parente mantenendo le stesse mansioni e risultati, non dovresti essere penalizzato solo perché non sei all’indirizzo indicato nel contratto di smart working.
Smart working, cosa può e cosa non può fare il datore di lavoro
Il datore di lavoro ha certamente il diritto di verificare che il dipendente svolga correttamente le proprie mansioni. Ma non può farlo usando strumenti che permettono un controllo diretto e costante, come la geolocalizzazione, se non ci sono motivazioni valide e previste dalla legge.
Inoltre, non basta il consenso del lavoratore: nel contesto lavorativo, il consenso non è considerato libero, perché il rapporto è squilibrato. Le regole sulla privacy non cambiano solo perché un dipendente ha “accettato” un’app o firmato un modulo.
Come controllare il lavoro agile in modo legittimo
Controllare non significa spiare. Ci sono tanti strumenti legittimi e rispettosi per monitorare il lavoro agile:
- fissare obiettivi settimanali o mensili da raggiungere;
- fare brevi riunioni di aggiornamento a fine giornata o fine settimana;
- chiedere report o brevi relazioni sull’attività svolta;
- usare strumenti di project management condivisi (come Trello, Asana, ecc.).
Tutti questi metodi permettono di mantenere il controllo e la produttività senza invadere la sfera privata di chi lavora.
Quali sono i rischi per le aziende che geolocalizzano
Usare sistemi di geolocalizzazione per controllare il personale può costare caro. Oltre alla multa da 50.000 euro inflitta all’ente pubblico coinvolto, ci sono altri rischi concreti:
- perdita di fiducia da parte dei dipendenti;
- danni alla reputazione dell’azienda;
- problemi legali per violazione della normativa sulla privacy.
Molto meglio prevenire. Chi gestisce team in smart working dovrebbe formarsi sulle norme sulla protezione dei dati e predisporre regolamenti chiari, condivisi e conformi alla legge.
Cosa devono sapere i lavoratori
Se lavori da remoto e ti viene chiesto di condividere la tua posizione, hai il diritto di rifiutare, soprattutto se non ti è stata fornita un’informativa chiara su come verranno trattati quei dati.
Ricorda che la privacy è un tuo diritto, anche quando sei connesso da casa. Se hai dubbi o sospetti un controllo illecito, puoi:
- chiedere spiegazioni formali al datore di lavoro;
- rivolgerti al rappresentante sindacale;
- presentare un reclamo al Garante per la Privacy.
Conclusione: il rispetto vale anche da remoto
Il lavoro agile è una grande opportunità, ma deve essere gestito con equilibrio. Il rispetto della persona e della sua libertà non si spegne davanti a uno schermo. La tecnologia può aiutare a lavorare meglio, ma non deve trasformarsi in un mezzo di sorveglianza.
Per aziende e lavoratori, la chiave è una sola: trasparenza, fiducia e conoscenza delle regole. Chi investe in una cultura del lavoro rispettosa e moderna avrà sempre un vantaggio, anche senza conoscere la posizione esatta dei propri collaboratori.