Il tema delle pensioni resta uno dei più delicati per milioni di lavoratori italiani. Con l’avvicinarsi della Legge di Bilancio 2026, il Governo è al lavoro per trovare soluzioni che garantiscano sostenibilità ai conti pubblici, ma allo stesso tempo introducano una maggiore flessibilità in uscita.
L’idea di fondo non sembra quella di una rivoluzione del sistema, quanto piuttosto un insieme di correttivi mirati, pensati per agevolare chi si trova vicino alla pensione e rendere meno rigidi i requisiti di accesso. In questo quadro, emergono diversi scenari che potrebbero cambiare le regole del gioco nei prossimi mesi.
Fra i temi più discussi ci sono il possibile blocco dell’adeguamento automatico dell’età pensionabile alla speranza di vita, la pensione a 64 anni estesa a nuove platee e la proposta di utilizzare il TFR come strumento integrativo per accedere prima al pensionamento. A questi si aggiungono le conferme o modifiche di misure già conosciute, come Quota 103, Opzione Donna e il cosiddetto “bonus Giorgetti”.
Età pensionabile: ipotesi di blocco degli adeguamenti
Attualmente, il meccanismo prevede che l’età pensionabile venga innalzata automaticamente in base all’aumento dell’aspettativa di vita. Senza interventi, dal 2027 scatterebbe un incremento di tre mesi. L’ipotesi allo studio è di sterilizzare questo scatto, almeno per alcune fasce anagrafiche, così da alleggerire il percorso verso la pensione per chi è più vicino all’uscita.
Questa misura avrebbe un costo rilevante per le casse dello Stato e quindi l’eventuale applicazione potrebbe essere circoscritta, ad esempio limitandola a chi ha già compiuto 64 anni al momento dell’entrata in vigore.
Pensione a 64 anni con TFR integrativo
Uno dei capitoli più innovativi riguarda la possibilità di accedere alla pensione a 64 anni, non solo per chi è interamente nel sistema contributivo, ma anche per chi si trova nel cosiddetto sistema misto. In questo caso, entrerebbe in gioco il trattamento di fine rapporto (TFR).
L’idea è di consentire l’utilizzo del TFR accantonato come una rendita aggiuntiva, così da colmare eventuali lacune contributive e raggiungere i requisiti minimi per la pensione. In altre parole, una parte di ciò che oggi viene liquidato come capitale al termine della carriera verrebbe trasformata in un flusso mensile integrativo.
Requisiti e condizioni
Le ipotesi attualmente discusse prevedono alcune condizioni:
- almeno 20-25 anni di contributi versati;
- pensione maturata non inferiore a una soglia minima (oggi si parla di almeno 3 volte l’assegno sociale, con possibili riduzioni per le donne con figli);
- un montante contributivo sufficiente a garantire un assegno dignitoso.
Le simulazioni mostrano però che, in presenza di carriere discontinue o stipendi bassi, il TFR potrebbe non bastare a raggiungere le soglie richieste. Questo rischierebbe di escludere una parte significativa dei lavoratori, lasciando il vantaggio solo a chi ha accumulato importi più consistenti.
Quota 103, Opzione Donna e bonus per chi resta al lavoro
Accanto a queste novità, ci sono misure già conosciute che potrebbero essere riviste:
- Quota 103: la prosecuzione non è scontata, visto il limitato successo della misura e il costo elevato per lo Stato.
- Opzione Donna: si valuta di renderla meno penalizzante, riducendo l’impatto del ricalcolo contributivo, soprattutto per le lavoratrici con compiti di cura o condizioni particolari.
- Bonus Giorgetti: dovrebbe essere confermato. Consente ai lavoratori che scelgono di restare al lavoro pur avendo maturato i requisiti pensionistici di ricevere in busta paga i contributi a loro carico, esentasse e netti.
Previdenza complementare: più spazio ai fondi pensione
Un altro tassello della riforma riguarda la previdenza complementare. Si discute di aumentare la deducibilità fiscale delle somme versate nei fondi pensione, così da incentivare i lavoratori, in particolare i più giovani, ad aderire a una forma integrativa.
Al contrario, sembra tramontata l’ipotesi di introdurre l’adesione automatica tramite silenzio-assenso, ritenuta troppo onerosa.
Criticità e punti aperti
Le proposte sul tavolo non mancano di sollevare dubbi:
- l’uso del TFR come strumento previdenziale modifica la natura di questa indennità, da sempre considerata salario differito e liquidabile in capitale;
- i costi delle misure di flessibilità pesano sui conti pubblici e richiedono coperture certe;
- non tutti i lavoratori beneficeranno delle novità allo stesso modo, con il rischio di ampliare le disuguaglianze tra chi ha carriere stabili e chi invece ha percorsi lavorativi più fragili.
Il percorso legislativo è appena iniziato e molte delle ipotesi potrebbero cambiare nei prossimi mesi, ma è chiaro che la direzione intrapresa mira a rendere più flessibile l’uscita dal lavoro, senza stravolgere il sistema e tenendo sempre a mente le risorse disponibili.