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Cassazione: siti per adulti a lavoro? Si commette un duplice reato!

La Cassazione, con sentenza n. 27528/2014, torna a pronunciarsi sull'utilizzo improprio di internet durante l’orario di lavoro


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di - 9 Luglio 2014

La Cassazione, con sentenza n. 27528/2014, torna a pronunciarsi sull’utilizzo improprio di internet durante l’orario di lavoro affermando che, l’accesso a siti pornografici durante l’orario di lavoro, non integra solo il reato di appropriazione indebita ma, anche quello di interruzione di pubblico servizio.

Il caso ha riguardato un lavoratore  che, secondo l’accusa, si era appropriato della linea telefonica della ditta datrice di lavoro e del collegamento via Internet determinando un evidente pregiudizio economico per la società per la quale prestava la propria attività. Egli inoltre aveva distolto le apparecchiature informatiche, operative 24 ore su 24 in quanto utilizzate per il monitoraggio degli impianti di pubblica amministrazione, dalla telegestione cui erano preposte, interrompendo, per la durata degli illeciti collegamenti, il servizio pubblico.

Sia il Tribunale di primo grado che la corte d’appello, ritenevano il lavoratore colpevole dei reati ascrittigli. Quest’ultimo ricorreva in appello.

Secondo gli Ermellini risulta provato in giudizio che l’imputato lavoratore, “approfittando dell’assenza dell’addetto all’ufficio ed avendo la disponibilità dei locali anche al termine delle attività di ufficio, invece di provvedere unicamente alle pulizie avesse scelto di utilizzare il computer per visitare siti pedopornografici”.

Il fatto rappresenta dunque una ipotesi di appropriazione indebita costituita, secondo la Suprema Corte, “non nell’uso dell’apparecchio telefonico come oggetto fisico, ma nell’appropriazione delle energie costituite da impulsi elettronici che erano entrate a far parte del patrimonio della parte offesa”.

Non rileva la linea difensiva secondo la quale, la parte offesa non avrebbe avuto danni perché la società aveva stipulato un contratto flat con la società Fastweb che comportava un unico e solo costo (periodico) per l’azienda. Per la Cassazione inoltre, è pacifico che l’agente si sia rappresentato e voluto l’ingiustizia del profitto realizzato (visione di siti pedopornografici utilizzando un collegamento internet di proprietà di terzi).

Medesime conclusione valgono per il reato di “interruzione di pubblico servizio”: per i giudici, il lavoratore, distogliendo il computer dalla gestione dell’impianto pubblico di illuminazione comunale per destinarlo all’accesso ai siti pornografici, ha interrotto per la durata dei collegamenti illeciti, il servizio di monitoraggio svolta nell’interesse pubblico, realizzando il reato contestato di cui all’articolo 340 codice penale”

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Categories: Sentenze Lavoro
Tags: CassazioneSentenze