Una recente sentenza del Tribunale del Lavoro di Venezia segna un punto fermo nei rapporti tra datori di lavoro e dipendenti che beneficiano dei permessi previsti dalla Legge 104. Il caso riguarda un lavoratore licenziato dopo essere stato spiato tramite un dispositivo GPS installato sulla sua auto aziendale all’insaputa. Il giudice ha bocciato senza esitazioni il licenziamento, definendo illegittimo sia il provvedimento disciplinare sia il metodo con cui l’azienda aveva raccolto le informazioni.
Privacy prima di tutto: niente GPS all’insaputa del lavoratore
L’azienda in questione aveva incaricato un’agenzia investigativa di monitorare gli spostamenti del dipendente, sospettando un uso improprio dei permessi per l’assistenza familiare. I movimenti sono stati tracciati tramite un localizzatore GPS, installato senza alcuna comunicazione al lavoratore. Una modalità che il Tribunale ha giudicato lesiva della privacy, nonché contraria alla dignità personale del dipendente.
Questa scelta, secondo il giudice, ha violato i limiti legittimi del controllo aziendale, che devono sempre rispettare la proporzionalità e la trasparenza. Non è sufficiente il sospetto per giustificare l’uso di strumenti invasivi: il controllo occulto, specie in assenza di reali indizi di frode, è un abuso.
Attività compatibili con l’assistenza: il lavoratore aveva agito nel rispetto della legge
A rendere ancora più solida la posizione del lavoratore è stato il quadro delle attività svolte durante i permessi. In quei giorni, l’uomo non era con la madre disabile in senso stretto, ma stava effettuando interventi per migliorare la sicurezza e l’accessibilità della sua abitazione, tra cui l’installazione di protezioni e supporti utili anche per la sorella affetta da sclerosi multipla.
Il Tribunale ha riconosciuto che tali azioni rientrano pienamente nello spirito della Legge 104, che non impone una presenza fisica costante accanto al familiare, ma consente anche attività indirette che ne migliorino concretamente la qualità della vita. Non si tratta quindi di assenteismo, ma di una diversa – e legittima – forma di assistenza.
Come si possono usare i permessi 104
I permessi retribuiti concessi dalla Legge 104/1992 sono destinati a lavoratori che assistono familiari con disabilità grave. Sono previsti tre giorni al mese (anche frazionabili in ore), durante i quali il lavoratore può astenersi dal lavoro senza perdere retribuzione né maturazione di ferie o contributi. Le attività consentite devono essere funzionali all’assistenza, ma non necessariamente coincidere con la permanenza a fianco del familiare.
È lecito, ad esempio, accompagnare la persona disabile a visite mediche, svolgere pratiche amministrative, fare la spesa o occuparsi di migliorie all’ambiente domestico, se queste contribuiscono al benessere e alla cura del congiunto. La chiave è l’esistenza di un nesso diretto tra l’attività svolta e l’interesse della persona assistita.
Controlli leciti: cosa può fare il datore di lavoro
Il datore di lavoro ha facoltà di effettuare controlli per verificare l’uso corretto dei permessi, ma deve farlo nel rispetto delle regole. È ammesso l’intervento di un’agenzia investigativa solo se ci sono fondati sospetti di abuso, e comunque nel rispetto della normativa sulla privacy. Qualsiasi controllo deve essere proporzionato, non invasivo e, ove possibile, comunicato.
Sono considerati leciti, ad esempio, i controlli documentali (su certificati, orari o turni), o le segnalazioni raccolte da colleghi o terzi, purché circostanziate. L’uso di strumenti tecnologici invasivi, come il GPS non autorizzato o la sorveglianza occulta, è invece considerato una violazione dei diritti fondamentali del lavoratore, come confermato dalla recente giurisprudenza. In questi casi, non solo i dati raccolti possono essere inutilizzabili, ma anche eventuali provvedimenti disciplinari risultano nulli.
Reinserimento e risarcimento: quando il lavoratore ha ragione
La conclusione del giudice è stata netta: il licenziamento è nullo. Non solo per l’illegittimità del controllo, ma anche per l’assenza di elementi che potessero mettere in dubbio l’integrità del dipendente, descritto come affidabile, senza precedenti disciplinari e in servizio continuativo dal 2009.
L’azienda è stata così condannata a reintegrarlo nel posto di lavoro e a pagare tutte le retribuzioni arretrate dalla data del licenziamento, oltre a un rimborso spese legali di 7.000 euro.
Una sentenza che tutela il lavoro e la dignità
Questo caso pone l’accento su due questioni fondamentali nel mondo del lavoro: il rispetto dei diritti dei lavoratori che assistono familiari fragili e i limiti invalicabili del controllo datoriale. Il messaggio è chiaro: non si può sacrificare la privacy e la fiducia in nome della produttività o del sospetto.
In un sistema basato sulla correttezza reciproca, la sorveglianza occulta e il controllo invasivo non possono trovare spazio. La tutela del lavoratore non è solo un diritto, ma una condizione essenziale per un ambiente di lavoro giusto e rispettoso.