In Italia non mancano i casi in cui dietro un lavoro all’apparenza autonomo, si cela in realtà un vero e proprio lavoro subordinato. Si tratta di abusi a cui un’azienda ricorre per ridurre illegittimamente il costo del lavoro, ma sul punto la Cassazione in passato ha rimarcato che ai fini della qualificazione di un rapporto di lavoro – come dipendente e non autonomo – assume rilievo prioritario e decisivo l’indagine sulla sussistenza del vincolo di carattere personale e di soggezione del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare dell’azienda. In tali circostanze i criteri ulteriori, come ad es. quale quello del nome che le parti danno al contratto o dell’orario oppure del luogo di effettuazione della prestazione, hanno perciò rilievo solo sussidiario.
Ebbene, in materia la Suprema Corte è nuovamente intervenuta con un’ordinanza dello scorso giugno, la n. 17450, secondo cui in ipotesi di illegittima reiterazione di contratti di lavoro autonomo che tali in realtà non sono – nascondendo un rapporto di lavoro dipendente – scatta il risarcimento integrale, per il diverso rapporto previsto dalla legge, e non dunque il semplice indennizzo.
Vediamo più da vicino i dettagli di quest’ordinanza di rilievo per numerosi casi simili.
Lavoro autonomo fittizio: quando scatta il diritto al risarcimento?
Per capire i contenuti dell’ordinanza n. 17450, depositata il 25 giugno, vediamo insieme in sintesi la vicenda che ha portato alla decisione della Corte. In secondo grado alcuni anni fa la Corte d’Appello si era pronunciata a favore di una lavoratrice della Rai, accogliendo le ragioni del suo ricorso e dichiarando sussistente un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di ambito giornalistico, dal settembre 2002. La donna aveva visto cessare il rapporto di lavoro, dopo essere stata impiegata come lavoratrice autonoma per molti anni in un un programma televisivo.
Al contempo questo giudice aveva condannato la Rai alla reintegra, riammettendo la donna a lavorare negli uffici dell’azienda con la qualifica di redattore ordinario con oltre 30 mesi di anzianità. Sul piano strettamente economico, la Corte d’Appello scelse di disporre l’obbligo di versamento, in capo all’azienda, di un’indennità risarcitoria forfettaria e onnicomprensiva (e oscillante tra 2,5 e 12 mensilità) , ex art. 32 legge n. 183/2010, cd. “collegato lavoro” – oggi sostituito dall’arti. 28, comma 2, del Dlgs 81/2015.
Il giudice del secondo grado liquidava in particolare sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Ebbene, proprio questo aspetto è stato contestato dalla giornalista, che ha fatto ricorso in Cassazione domandando l’integrale risarcimento del danno e non solo l’indennità risarcitoria.
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La decisione della Suprema Corte
Con l’ordinanza n. 17450 il giudice di legittimità ha riconosciuto le ragioni della donna, usando queste parole che evidenziano un principio di diritto molto importante:
Nel caso di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro al cospetto di un contratto stipulato dalle parti come formalmente di lavoro autonomo, non trova applicazione il regime indennitario dettato dall’art. 32 L. n. 183/2010, bensì quello risarcitorio a decorrere dalla costituzione in mora.
In altre parole, laddove ricorra un caso di illegittima reiterazione di contratti di lavoro autonomo che però in verità non sono, celando un rapporto di natura subordinata, il lavoratore o la lavoratrice potranno contare sul diritto al risarcimento pieno, ossia sul riconoscimento di una somma maggiore del semplice indennizzo.
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Differenza tra indennizzo e risarcimento
L’indennizzo – spiega la Corte di Cassazione – è previsto solo nel caso della reiterazione di contratti a termine. L’art. 28, comma 2, del Dlgs 81/2015 dispone in particolare che, in ipotesi di trasformazione a tempo indeterminato del contratto a termine invalido, il datore è condannato al versamento di un’indennità forfettaria, ma la norma assoggetta all’identico regime anche altre tipologie contrattuali.
Ebbene, nell’ordinanza di giugno la Suprema Corte ha dichiarato che tale disciplina non è tuttavia applicabile in caso di:
- contratto di lavoro autonomo a termine dichiarato illegittimo,
- e riqualificato come contratto subordinato a tempo indeterminato.
In particolare il giudice di legittimità rimarca che il regime indennitario introdotto dal collegato lavoro non può allargarsi al di là delle specifiche fattispecie contrattuali previste dall’art. 32 del “collegato lavoro”, tra cui non è espressamente ricompreso il contratto di lavoro autonomo a termine.
Non a caso, la Corte di Cassazione nell’ordinanza in oggetto usa queste parole:
Il regime indennitario […] non si applica all’ipotesi di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato al cospetto di un contratto di lavoro autonomo a termine dichiarato illegittimo, riguardando quel regime soltanto i contratti di lavoro subordinato a termine e le altre tipologie contrattuali previste dai commi 3 e 4 dell’art. 32 cit., tra cui non rientrano i contratti di lavoro autonomo.
Il richiamo alla sentenza della Consulta n. 303 del 2011
Non solo. A sostegno di questa linea la Cassazione fa riferimento alla sentenza n. 303 del 2011, emessa dalla Corte Costituzionale, che ha escluso l’illegittimità costituzionale dell’art. 32 comma 5 della legge n. 183 del 2010. In essa sostanzialmente si afferma che non vi sono profili di discriminazione in una disciplina risarcitoria differente per i contratti a termine nulli, a cui si applica l’indennità forfettaria e onnicomprensiva, compresa tra 2,5 e 12 mensilità – rispetto all’utilizzo fraudolento delle collaborazioni.
In quest’ultimo caso opererebbe quindi legittimamente il regime risarcitorio che copre l’intervallo non lavorato dalla costituzione in mora, fino al ripristino del rapporto di lavoro.
Nel testo della recente ordinanza sono riportate le parole della Consulta:
il contratto di lavoro subordinato con una clausola viziata (quella, appunto, appositiva del termine) non può essere assimilato ad altre figure illecite come quella, obiettivamente più grave, dell’utilizzazione fraudolenta della collaborazione continuativa e coordinata.
Inoltre, le due fattispecie non sono assimilabili, in quanto:
- nel primo caso (lavoro a tempo determinato) il vincolo negoziale nasce come rapporto di lavoro subordinato;
- nel secondo caso si è innanzi ad un rapporto di lavoro autonomo, che soltanto dopo accertamento giudiziale viene qualificato come dipendente.
Conclusioni
La diversità e la maggior gravità di quest’ultimo caso impedisce l’applicabilità del più ristretto regime indennitario – varato dalla legge n. 183 del 2010 – all’accertamento giudiziale della natura dipendente del rapporto di lavoro autonomo a termine. Infatti la somma a forfait tra 2,5 e 12 mensilità è riconoscibile per i rapporti di lavoro stipulati, ab origine, come subordinati.
Ecco perché la Cassazione ha riformato la sentenza resa in Appello che aveva liquidato a una lavoratrice della Rai un’indennità di 6 mensilità, disponendo il risarcimento integrale e pieno – dopo aver accertato la natura subordinata dei ripetuti e fittizi contratti di lavoro autonomo a termine.
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