L’Istat, lo scorso 26 maggio ha presentato alla Camera il rapporto annuale sul nostro paese. Ne esce un quadro per niente edificante; è la fotografia di un paese allo sbando, che pian piano si sta sgretolando: nel 2009, con poco più di due milioni di giovani (il 21,2 per cento della popolazione tra i 15 e i 29 anni) che non lavorano e non frequentano nessun corso di studi (Not in education, employment or training, Neet), ha il primato europeo; giovani che sono soprattutto coinvolti nell’area dell’inattività (65,8 per cento).
A causa della crisi il numero di Neet è cresciuto molto nel 2009: nel complesso, 126 mila giovani in più, concentrati al Nord (+85 mila) e al Centro (+27 mila); ovviamente la stragrande maggioranza dei Neet (oltre un milione) è residente nel Mezzogiorno. In particolare, sono i giovani che perdono il lavoro che vanno a ingrossare le file dei Neet, rendendo questo insieme di persone a forte rischio di esclusione sociale.
“Infatti, quanto più si protrae la permanenza in questo stato, tanto più difficile si dimostra il successivo inserimento nel mercato del lavoro o nel sistema formativo. Tra il primo trimestre del 2008 e il corrispondente periodo del 2009 la probabilità di permanere nella condizione di Neet è stata del 73,3 per cento (l’anno precedente era il 68,6 per cento), con valori più elevati per i maschi e per i residenti al Nord”.
Non ci sorprendiamo quindi, se i cd “bamboccioni” tornano o non si allontanano dalle loro famiglie, unica ancora di salvezza per molti. Questa scelta, in tempi di crisi pare obbligata: oggi, sono sette milioni di giovani.
Tra i 30-34enni quasi un terzo risiede ancora in famiglia, una quota triplicata dal 1983; ma proprio in concomitanza con la crisi economica, e nonostante quest’ultima, cominciano a manifestare segnali di insofferenza. I 18-34enni, infatti, indicano la scelta di restare nella famiglia solo come terza motivazione, dopo i problemi economici e la necessità di proseguire gli studi. Tra il 2003 e il 2009 la quota di chi resta in famiglia per scelta scende di ben nove punti percentuali, soprattutto nelle zone più ricche del Paese.
Ma c’è di più: Oltre il 15% delle famiglie vive in condizioni di disagio economico, con una percentuale che supera il 25% nel Mezzogiorno; una su tre non riesce a sostenere spese impreviste, quasi una su due non può permettersi una settimana di ferie lontano da casa e, ci si indebita sempre più.
Il tasso di occupazione delle donne (15-64 anni) è sceso nel 2009 al 46,4 per cento, un valore molto lontano da quello dell’Unione europea (58,6 per cento). Le conseguenze della crisi sono state particolarmente evidenti nel Mezzogiorno, che ha assorbito quasi la metà del calo complessivo delle occupate (-105 mila donne) e che già presentava bassi tassi di occupazione femminile. In quest’area territoriale, per ogni 100 donne occupate nel primo trimestre 2008, a distanza di un anno 14 sono transitate nella condizione di non occupazione (10 nella media italiana).
Il tasso di occupazione femminile nel Mezzogiorno è del 30,6 per cento, contro il 57,3 per cento del Nord-est. Si è ulteriormente abbassato il tasso di occupazione delle donne con titolo di studio inferiore al diploma di scuola secondaria superiore: nel Mezzogiorno raggiunge un livello che supera di poco il 20 per cento. Solo le laureate riescono a raggiungere i livelli europei, se si escludono le giovani, che incontrano difficoltà all’ingresso nel mercato del lavoro.
Dai dati istat, risulta infine che gli investimenti, ricerca e innovazione sono insufficienti, come anche la formazione scolastica e, di conseguenza insufficienti sono anche le competenze e conoscenze acquisite da giovani e adulti. I risultati dell’indagine Pisa (Programme for International Student Assessment) promossa dall’Ocse mostrano livelli preoccupanti di competenza degli studenti italiani 15enni per tutte le dimensioni considerate (lettura, matematica e scienze) e collocano il nostro Paese sempre al di sotto dei valori medi dei 30 paesi Ocse.
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