Un’assenza dal lavoro protratta e senza giustificazione non è più solo una questione disciplinare. Può diventare, a tutti gli effetti, una dimissione volontaria, con una conseguenza pesante: la perdita del diritto alla NASpI.
A ribadirlo ancora una volta è l’INPS, con la circolare n. 154 del 22 dicembre 2025, che fa il punto su una delle novità più delicate introdotte dalla legge n. 203/2024 e fornendo ulteriori chiarimenti in merito.
La novità: le dimissioni per fatti concludenti
La legge ha introdotto una nuova fattispecie di cessazione del rapporto di lavoro: le dimissioni per fatti concludenti.
In pratica, se il lavoratore:
- si assenta dal lavoro oltre il termine previsto dal contratto collettivo, oppure
- in mancanza di indicazioni contrattuali, per più di 15 giorni,
- senza fornire alcuna giustificazione,
il datore di lavoro può (non deve) considerare il rapporto risolto per volontà del lavoratore.
Non serve una lettera di dimissioni: è il comportamento concludente – l’assenza prolungata e ingiustificata – a produrre l’effetto.
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NASpI: perché in questo caso si perde il diritto
Il punto centrale chiarito dall’INPS è il seguente:
la NASpI spetta solo in caso di cessazione involontaria del rapporto di lavoro.
Quando il datore di lavoro comunica la cessazione con il codice “FC – dimissioni per fatti concludenti”, la risoluzione è considerata volontaria.
Risultato: niente NASpI, anche se il lavoratore è rimasto senza reddito.
È un passaggio netto, che non lascia margini interpretativi all’ente previdenziale.
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Attenzione: l’assenza ingiustificata non blocca sempre la NASpI
La circolare INPS chiarisce però un aspetto fondamentale, spesso frainteso.
👉 Non tutte le assenze ingiustificate portano automaticamente alla perdita della NASpI.
Se il datore di lavoro:
- avvia un procedimento disciplinare,
- e conclude con un licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo,
anche se il motivo è l’assenza ingiustificata, il lavoratore può accedere alla NASpI, se in possesso degli altri requisiti di legge.
La differenza sta tutta nella causale di cessazione:
- dimissioni per fatti concludenti → NASpI negata
- licenziamento disciplinare → NASpI possibile
Il ruolo (decisivo) del datore di lavoro
Un altro chiarimento rilevante riguarda la procedura: la risoluzione per fatti concludenti non è automatica.
Il datore di lavoro:
- può scegliere se attivarla o meno,
- deve comunicarla all’Ispettorato Nazionale del Lavoro,
- e solo in quel caso il rapporto si considera risolto per volontà del lavoratore.
In alternativa, può seguire la strada tradizionale del licenziamento disciplinare, con esiti molto diversi sul piano previdenziale.

Dimissioni per giusta causa: l’ultima tutela per il lavoratore
Esiste infine una tutela importante per il lavoratore.
Se, anche dopo l’avvio della procedura per fatti concludenti, il dipendente presenta dimissioni per giusta causa (ad esempio per mancato pagamento dello stipendio), queste prevalgono sulla risoluzione avviata dal datore di lavoro.
In questo caso:
- la cessazione non è considerata volontaria “semplice”,
- e l’accesso alla NASpI resta possibile, a condizione che il lavoratore dimostri la giusta causa.
In sintesi
La circolare INPS mette nero su bianco un principio chiave: non è l’assenza in sé a far perdere la NASpI, ma il modo in cui si chiude il rapporto di lavoro e come si comunica tramite Unilav.
Per i lavoratori, il messaggio è chiaro:
- sparire dal lavoro senza comunicazioni può costare caro.
Per le aziende e Consulenti del Lavoro:
- la scelta della procedura non è neutra e ha effetti diretti sui diritti previdenziali.
In mezzo, come spesso accade, c’è una linea sottile tra disciplina, dimissioni e tutela della disoccupazione. Conoscerla oggi è essenziale per evitare errori irreversibili domani.
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