La Corte di Cassazione, con sentenza nr. 11527 del 14 maggio scorso, ha affermato che è onere del lavoratore provare non solo l’illegittimità del comportamento datoriale ma, anche il danno esistenziale subito e, il relativo nesso causale tra condotta e danno.
E’ questo il principio affermato dagli Ermellini a seguito di ricorso presentato da un lavoratore contro la sentenza di appello che riteneva non provato il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla illegittimità del trasferimento del lavoratore ad altra sede lavorativa; nonchè, il diritto al risarcimento del danno per l’illegittimo demansionamento e la dequalificazione sofferta presso la nuova sede.
Per la Corte d’appello “il danno esistenziale deve essere provato da colui che lamenti di averlo subito”; nel caso di specie il lavoratore “avrebbe dovuto almeno allegare quali conseguenze sul piano degli affetti e della vita di relazione avesse comportato il trasferimento e il fare rientro nella abitazione circa, una volta al mese”.
E ciò perchè, “se è vero che il danno esistenziale consiste nell’obiettivo peggioramento delle condizioni di vita, conseguenza di un fatto che ha inciso su beni costituzionalmente protetti, e se è altrettanto vero che, nella specie, ci si trova dinanzi ad un fatto ingiusto del datore di lavoro che può avere inciso su diritti costituzionalmente rilevanti, collegati famiglia, alla vita di relazione ecc, è altresì vero che non è in re ipsa detto peggioramento”.
Con tale pronuncia, prosegue la Suprema Corte, “la Corte territoriale ha mostrato di adeguarsi ai principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità in materia, secondo cui il pregiudizio non si pone come conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo del datore dì lavoro, per cui non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare la illegittimità della condotta datoriale ma anche di fornire la prova ex art. 2697 c.c., anche con presunzioni, del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con detta condotta ( ex plurimis, Cass. n. 19785/2010; Cass. n. 25575/2011; Cass. n. 29832/2008).
La Cassazione inoltre, afferma che in tema di “ demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale che asseritamente ne deriva – non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale – non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo.
Mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale (da intendere come ogni pregiudizio, di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno) va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative dì progressione professionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno (Cass. n. 29832/2008)”.,
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