Con una nuova pronuncia, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del D.lgs. 23/2015, nella parte in cui fissava a sei mensilità il tetto massimo dell’indennizzo per i lavoratori licenziati illegittimamente da piccole imprese.
Una pronuncia – la n. 118 del 2025 – che riconosce la necessità di risarcimenti personalizzati, congrui e dissuasivi, anche nelle realtà aziendali sotto la soglia dei 15 dipendenti. Un passo avanti per i diritti dei lavoratori che restituisce centralità al ruolo del giudice nella valutazione del danno.
Il caso: una lavoratrice licenziata senza motivazione, in un’azienda con meno di 15 dipendenti
La questione è nata da un ricorso presentato da una lavoratrice licenziata senza alcuna contestazione scritta, nonostante un rapporto di lavoro durato sei anni e senza precedenti disciplinari. L’azienda per cui lavorava contava meno di 15 dipendenti: una “piccola impresa”, quindi soggetta a regole speciali.
Secondo la normativa vigente, il risarcimento massimo spettante in caso di licenziamento illegittimo in queste imprese era limitato a sei mensilità della retribuzione. Troppo poco – ha ritenuto il giudice del lavoro di Livorno – per garantire una tutela reale. E così, la questione è finita davanti alla Consulta.
La Corte: “Serve un risarcimento adeguato, non simbolico”
Con questa pronuncia, la Corte ha stabilito che non è costituzionalmente ammissibile un tetto rigido e fisso di sei mensilità, perché:
“impedisce al giudice di garantire la personalizzazione, l’adeguatezza e la congruità del risarcimento, compromettendo la funzione deterrente della norma nei confronti del datore di lavoro.”
In particolare, la Corte ha evidenziato che il sistema creato dal Jobs Act – già fortemente criticato in passato – comprime eccessivamente i margini di intervento del giudice, uniformando casi anche molto diversi tra loro. E lo fa in modo ancora più drastico proprio nelle piccole imprese, dove l’indennizzo è già dimezzato per legge rispetto alle aziende più grandi.
Cosa cambia ora: più equità nei risarcimenti, anche nelle PMI
Con questa sentenza, viene eliminato il tetto delle sei mensilità: il giudice potrà ora valutare l’entità del danno caso per caso, tenendo conto di:
- Anzianità di servizio
- Gravità del vizio del licenziamento
- Comportamento dell’azienda
- Conseguenze personali ed economiche per il lavoratore
Questo non significa che l’indennizzo sarà sempre altissimo, ma che non sarà più rigidamente limitato, a prescindere dalle circostanze.
Un invito al legislatore: superare la logica della “dimensione”
Nella parte finale della sentenza, la Corte invita il Parlamento a riformare l’intero impianto normativo dei licenziamenti nelle piccole imprese. La sola dimensione aziendale – osserva la Corte – non può essere l’unico parametro per definire le tutele: esistono aziende “piccole” solo per numero di dipendenti, ma con forze economiche significative.
Si auspica dunque una riforma che tenga conto di più fattori, come:
- il fatturato,
- la struttura organizzativa,
- la reale capacità economica del datore di lavoro.
Normativa di riferimento:
- D.lgs. 23/2015, art. 9, comma 1 (parzialmente abrogato dalla sentenza)
- Legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori), art. 18 (requisiti dimensionali)
- Costituzione italiana, art. 3 (uguaglianza), art. 4 (diritto al lavoro), art. 117 (conformità agli obblighi internazionali)
- Carta Sociale Europea, art. 24: diritto a un “congruo indennizzo o altra adeguata riparazione”
Una tutela rafforzata per i lavoratori più esposti
Il vero significato di questa pronuncia è chiaro: non esistono lavoratori di serie A e di serie B. Il fatto di lavorare in una piccola impresa non può giustificare una tutela così debole da risultare inefficace. Il diritto al lavoro è un principio costituzionale, e il risarcimento deve essere proporzionato al danno, non alla dimensione del datore.
Grazie a questa sentenza, un lavoratore illegittimamente licenziato avrà accesso a un’indennità più equa, più giusta, più umana.