Fra i criteri di scelta nei licenziamenti collettivi nelle procedure di riduzione di personale è legittimo basarsi sulla prossimità alla pensione dei lavoratori. Ciò consente in primis a ridurre al minimo l’impatto sociale della riorganizzazione; inoltre viene salvaguardato il lavoratore che, in caso di licenziamento collettivo, non potrebbe beneficiare, della protezione sociale garantita dal prepensionamento.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n, 24755 dell’8 ottobre 2018.
Criteri di scelta nei licenziamenti collettivi: la vicenda
Nel caso di specie, la vicenda riguarda un licenziamento collettivo ex lege n. 223/1991, impugnato da un lavoratore che ne contestava i criteri di scelta. In prima battuta, il Tribunale locale ha confermato la genuinità del licenziamento operato dalla società; decisione, questa, successivamente ribaltata dai giudici della Corte di appello di Firenze con la sentenza n. 679/2016, che aveva dichiarato appunto la nullità del licenziamento intimato.
Pertanto, la società veniva condannata a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro ed a corrispondergli il risarcimento del danno nella misura di tutte le mensilità maturate dalla data del licenziamento alla reintegra oltre accessori di legge sino al saldo.
In particolare, nel caso in questione, il licenziamento era ritenuto illegittimo per la accertata incoerenza tra la crisi dell’azienda e gli esuberi accertati e i lavoratori licenziati. Quanto alle conseguenze della illegittimità, la Corte escludeva che vi fosse stata in concreto la violazione dei criteri di scelta in quanto correttamente applicato il criterio convenzionalmente individuato, bensì la violazione della procedura di cui all’art. 4 della legge n. 223/1991. Ciò in quanto pur valutando legittimo il criterio dell’accesso a pensione, ne rilevava l’uso strumentale e scorretto diretto solo a delimitare l’area degli esuberi senza alcun rapporto concreto e, soprattutto, formalizzato, con la effettiva situazione produttiva ed organizzativa in eccedenza. Da cio’ derivava, oltre che la violazione della procedura, anche la lesione del principio paritario cui l’ordinamento fa conseguire la nullità del licenziamento.
La società impugna la sentenza di della Corte d’Appello e ricorre in Cassazione.
Criteri di scelta nei licenziamenti: i motivi del ricorso
Sul punto, la società rilevava i seguenti motivi per il ricorso:
- innanzitutto si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 della L . n. 223/1991 8 ex art. 360 n. 3 c.p.c . In particolare, si sosteneva che la Corte d’Appello avesse erroneamente ritenuto che la lettera di apertura della procedura limitava l’ambito della stessa procedura così rendendo illegittimo il successivo accordo sul criterio di scelta applicato anche a soggetti estranei all’ambito inizialmente individuato;
- con il secondo motivo è censurata la falsa applicazione dell’art. 5 della L.n. 223/91, per la errata interpretazione della norma non rispettosa del testo della stessa;
- il terzo motivo del ricorso censura la sentenza per violazione dell’art. 65 del R.D. n. 12/1941 con riguardo al richiamo fatto dalla Corte Territoriale alla sentenza del giudice di legittimità n. 14170/2014 e ritenuta estranea alla fattispecie attualmente in esame e quindi non assertiva di un principio di carattere generale;
- con il quarto motivo è censurata la violazione degli artt. 4 e 5 L. n. 223791 (art. 360 n. 3 c.p.c.), per l’errato richiamo al criterio della infungibilità delle mansioni quale elemento giustificativo della possibilità di restringere l’ambito aziendale per l’applicazione della procedura di licenziamento collettivo.
La sentenza
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso della società. Gli ermellini partono dal presupposto che nelle precedenti decisioni (Corte Territoriale e Corte d’Appello) è stato dato atto a due differenti orientamenti:
- il primo ritiene il criterio delle esigenze tecnico/produttive utile non solo a fondare la decisione della procedura di licenziamento collettivo, ma necessario anche per individuare, insieme agli altri eventuali criteri, i lavoratori da licenziare;
- il secondo invece richiama il suddetto criterio solo al fine di ritenere fondata la scelta di recesso, ma non lo lega alla successiva fase della scelta dei lavoratori, da effettuarsi secondo parametri individuati in sede collettiva.
La Corte di Cassazione intende dare continuità al secondo orientamento. L’adozione del criterio della maggiore vicinanza alla pensione risulta quindi coerente con la finalità del “minor impatto sociale” perché “astrattamente oggettivo e in concreto verificabile” (cfr. Cass. n. 7710/2018) e quindi rispondente alle necessarie caratteristiche di obiettività e razionalità come sopra richiamate.
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