La Cassazione, con sentenza nr. 22538 dello scorso 2 ottobre, torna a pronunciarsi in tema di mobbing, dichiarando l’illegittimità del licenziamento intimato al lavoratore per il superamento del periodo di comporto se, la malattia del lavoratore è diretta conseguenza del comportamento del datore di lavoro.
Il caso ha riguardato un lavoratore, addetto alla macelleria di un supermercato, che si è visto licenziare a seguito delle numerose assenze per malattia, assenze che, andavano a superare il cd. periodo di comporto.
Il lavoratore, come era emerso nel corso dei diversi gradi di giudizio, si era si assentato per malattia ma, tale malattia era dovuta a mobbing del datore: dal luglio 2002, il lavoratore aveva iniziato a ricevere “una numerosa serie di contestazioni disciplinari, con altrettante sanzioni che andavano dalla multa alla sospensione”.
Inoltre, “durante i periodi di malattia dal mese di dicembre 2002 al febbraio 2003 era stato sottoposto a ben 15 visite mediche di controllo”. Nel marzo 2003, dopo l’ennesimo inutile rimprovero da parte di un superiore che, gli aveva provocato una “crisi psicologica“, aveva subito numerose altre visite fiscali.
Gli Ermellini, in sostanza, ricalcano le tesi sostenute dai precedenti Tribunali di primo grado e di Appello secondo le quali, le sanzioni irrogate dal datore di lavoro erano “illegittime, alcune perchè sproporzionate, altre per essere gli addebiti contestati, insussistenti sul piano disciplinare, accertando altresì, alcune condotte discriminatorie operate dalla società nei confronti del lavoratore”.
Inoltre, i Giudici di merito, a seguito di CTU, accertavano che “le assenze per malattia erano conseguenza dell’ambiente lavorativo e della condotta aziendale posta in essere nei confronti del dipendente, in particolare con le numerose sanzioni disciplinari poi accertate come illegittime”.
Da ciò, dunque, le assenze per malattia, essendo “imputabili alla responsabilità del datore di lavoro, non possono essere computabili ai fini del calcolo del periodo di comporto” e quindi diretta conseguenza del mobbing.
Il lavoratore quindi ha diritto alla reintegra nel suo posto di lavoro e, al risarcimento ex art. 18 L. 300/70, riconoscendo a quest’ultimo un danno non patrimoniale in base all’incapacità lavorativa accertata da CTU.
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