E’ possibile il licenziamento del lavoratore durante la malattia? Questo è un dubbio molto frequente e del tutto lecito nell’ambito del diritto del lavoro. Il dipendente in malattia infatti gode di una particolare protezione contro l’eventuale decisione dell’azienda di interrompere il rapporto per il solo perdurare della malattia. Si tratta del cosiddetto periodo di comporto.
Mentre è attivo il comporto, la cui durata è prevista dalla legge o dai contratti collettivi, ogni eventuale decisione di licenziare il dipendente è nulla e priva di effetti.
A meno che il lavoratore non si renda responsabile o venga coinvolto in fatti talmente gravi che l’eventuale decisione di licenziarlo non incontra i divieti di legge perché si presume che la stessa esuli dal perdurare dello stato di malattia.
La deroga interviene in queste circostanze:
- Licenziamento per giusta causa ovvero per colpa grave del lavoratore;
- Licenziamento per impossibilità sopravvenuta della prestazione;
- Cessazione totale dell’attività d’impresa;
Altri licenziamenti validi durante la malattia sono il termine del contratto a tempo determinato, il mancato superamento del periodo di prova e la mancata conferma al termine del periodo di formazione nell’apprendistato.
A questi si aggiunge il licenziamento per superamento del comporto intimato mentre il dipendente è ancora in malattia. Esiste infine la possibilità per l’azienda di procedere al licenziamento per scarso rendimento, che consiste nella possibilità per l’azienda di licenziare il dipendente assente per malattia ancor prima del superamento del comporto, quando detta assenza provoca un grave danno all’organizzazione del lavoro. Anche se quest’ultima via è la più difficile da percorrere in quanto nella generalità dei casi dovrà essere provata dal datore davanti al giudice.
Vediamo queste fattispecie nel dettaglio.
Licenziamento durante la malattia: per giusta causa
Il dipendente in malattia può essere licenziato a patto che i motivi alla base del recesso non riguardino il perdurare dell’assenza, ma una sua condotta talmente grave da non consentire la prosecuzione provvisoria del rapporto. Si parla in questo caso di licenziamento per giusta causa.
Per la gravità del comportamento posto in essere dal dipendente, il rapporto si risolve immediatamente senza lasciare il beneficio del periodo di preavviso.
La giusta causa rientra nella categoria dei “licenziamenti disciplinari” (insieme al giustificato motivo soggettivo) dal momento che vengono intimati per ragioni connesse al comportamento del dipendente, tale da ledere il vincolo fiduciario tra quest’ultimo e l’azienda.
Leggi anche: Differenza fra licenziamento per giusta causa e giustificato motivo
Sono i contratti collettivi e i codici disciplinari a individuare i comportamenti che integrano la giusta causa. Al di là di questo, la Cassazione nel tempo ha ravvisato la giusta causa nelle seguenti circostanze:
- Abbandono del posto di lavoro da cui deriva un danno all’incolumità delle persone o alla sicurezza dei beni;
- Abbandono del posto di lavoro da parte di chi ha compiti di custodia o sorveglianza;
- Attività lavorativa in proprio o a beneficio di terzi in orario di lavoro con utilizzo di internet avvalendosi di computer aziendali e per scopi estranei a quelli della società;
- Falsificazione di un certificato medico per allungare il periodo di malattia;
- Sottrazione di dati aziendali a prescindere dalla loro divulgazione.
Procedura disciplinare del licenziamento per giusta causa
Il licenziamento per giusta causa dev’essere preceduto da un’apposita procedura disciplinare che prevede:
- Affissione del codice disciplinare nei locali aziendali (dove sono indicate le condotte punibili e i relativi provvedimenti che può adottare l’azienda);
- Contestazione dell’addebito al dipendente;
- Concessione al dipendente di 5 giorni di tempo per presentare le sue giustificazioni;
- Audizione del dipendente se richiesta.
Una volta esaminate le eventuali giustificazioni del dipendente o quanto dallo stesso dichiarato nell’audizione difensiva l’azienda può decidere di accogliere le ragioni di quest’ultimo o intimare il licenziamento.
Licenziamento in malattia per impossibilità sopravvenuta
Durante la malattia, il dipendente può essere licenziato per giustificato motivo oggettivo dovuto a una sopravvenuta infermità permanente (o di cui non è determinata né determinabile la guarigione) sorta per ragioni che non dipendono dalle condizioni lavorative, tale da comportare l’inidoneità (anche parziale) alle mansioni assegnategli.
Perché sia legittimo il licenziamento è necessario:
- Che la malattia non abbia una prognosi definitiva;
- Assenza in capo all’azienda di un apprezzabile interesse alle prestazioni lavorative del dipendente;
- Impossibilità di ricollocare il dipendente ad altre mansioni.
Il ricollocamento del dipendente dev’essere tale da non alterare o modificare l’assetto organizzativo e produttivo dell’azienda.
L’onere di provare l’impossibilità di ricollocare il dipendente ricade sul datore di lavoro.
Nella comunicazione scritta con cui intima il licenziamento l’azienda deve indicare i motivi alla base della sua decisione oltre a rispettare il periodo di preavviso imposto dal contratto collettivo applicato.
Licenziamento durante la malattia per cessazione totale dell’azienda
Il dipendente in malattia può essere licenziato anche per cessazione totale dell’attività d’impresa. Come nel paragrafo precedente, si tratta di un caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo legato però a dinamiche produttive, organizzative e socio-economiche, anziché alle condizioni fisiche del dipendente.
Anche in questo caso, l’azienda deve riportare nella lettera di licenziamento i motivi che hanno portato alla decisione di interrompere il rapporto e osservare il periodo di preavviso pena la corresponsione dell’indennità sostitutiva.
Licenziamento per superamento del periodo di comporto
La legge (art. 2110 codice civile) riconosce al dipendente in malattia il diritto di conservare il posto di lavoro per un periodo di tempo fissato dalla legge, dai contratti collettivi ovvero dagli usi. Questo prende il nome di “periodo di comporto”.
Significa che il licenziamento motivato esclusivamente dal perdurare della malattia e intimato prima che si sia esaurito il comporto è nullo. Tuttavia il lavoratore può essere licenziato in malattia, una volta superato questo periodo di tutela.
Leggi anche: Superamento del periodo di comporto: quali conseguenze?
Comporto impiegati
Il periodo di conservazione del posto è fissato dalla legge se si tratta di impiegati:
- 3 mesi quando l’anzianità di servizio non eccede i 10 anni;
- 6 mesi se la permanenza in azienda supera i 10 anni.
Il singolo contratto collettivo può introdurre un comporto più lungo. In questo caso si applica quanto previsto dal CCNL perché condizione di miglior favore per il dipendente.
Comporto per gli operai
Discorso diverso per gli operai. Per loro il comporto è previsto esclusivamente dal contratto collettivo.
Una volta superato il comporto l’azienda ha due opzioni:
- Licenziare il dipendente, comunicandogli la decisione in forma scritta indicando i singoli giorni di assenza per malattia;
- Mantenere il dipendente in forza.
Se il dipendente ha superato il comporto e l’azienda decide di licenziarlo può comunicargli la sua decisione senza attendere il rientro in servizio.
Potrebbe accadere infatti che da certificato medico la fine malattia sia il 30 giugno 2019. Ipotizziamo che il dipendente superi il comporto in data 15 maggio 2019. L’azienda, dopo aver verificato che in base ai giorni di malattia il comporto è stato effettivamente oltrepassato, può intimare il licenziamento senza attendere il rientro in servizio, ad esempio il 20 maggio.
In questo caso dovrà inoltrare la comunicazione a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, al più recente indirizzo noto del dipendente.
Periodo di preavviso
E’ importante che l’azienda rispetti il periodo di preavviso. Questo significa che tra la data di comunicazione del licenziamento e l’ultimo giorno di contratto deve trascorrere il lasso di tempo richiesto dal contratto collettivo, in base al livello e all’anzianità in azienda del licenziato.
Il preavviso, richiesto dalla legge per i soli dipendenti a tempo indeterminato, è concepito per consentire al licenziato di aver un periodo di tempo per cercare un’altra occupazione prima che il rapporto di lavoro si interrompa.
Se la parte che recede è l’azienda il preavviso decorre dalla data in cui al dipendente ancora in malattia perviene la comunicazione di licenziamento, attestata dalla ricevuta di ritorno.
Quando non si rispetta il preavviso, l’azienda deve corrispondere al licenziato la retribuzione che gli sarebbe spettata se fosse stato in forza tra la data di ricevimento della comunicazione e l’ultimo giorno di contratto, ivi compresi i ratei di tredicesima e, se prevista, quattordicesima mensilità.
L’indennità sostitutiva del preavviso dev’essere erogata con la busta paga relativa all’ultimo mese di contratto.
Altri casi di licenziamento in malattia
Come detto in premessa il lavoratore può essere licenziato durante la malattia se sopraggiunge il termine del contratto a tempo determinato e questo non viene prorogato o rinnovato.
Allo stesso modo il lavoratore in prova può essere licenziato anche se è in malattia, per mancato superamento della prova; anche se in questo caso il mancato superamento della prova non può essere ricondotto alla malattia.
Infine l’ultimo caso riguarda l’apprendista il cui contratto non viene confermato al termine del periodo di formazione: lo stesso quindi può essere “licenziato” anche se in malattia.
In tutti questi casi la malattia si interrompe e il datore di lavoro non è più tenuto a corrispondere la retribuzione.
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