Durata e modalità di svolgimento della pausa pranzo sul lavoro sono rimesse al datore in base alle proprie esigenze produttive. Questi tuttavia non è al 100% libero di fissare le ore di assenza dei dipendenti. Esistono infatti delle previsioni di legge da rispettare, come quelle che fissano la durata minima della pausa in 10 minuti se la prestazione giornaliera eccede le 6 ore.
Anche i contratti collettivi possono intervenire con apposite clausole. Nel rispetto delle previsioni di legge e contrattuali l’azienda fissa la durata e la collocazione oraria della pausa pranzo, eventualmente prevedendo regimi diversi in ragione delle mansioni dei dipendenti.
Grande attenzione dev’essere posta inoltre alle norme sulla durata del riposo giornaliero e settimanale, oltre a quelle che fissano l’orario di lavoro a tempo pieno in 40 ore o l’eventuale diversa misura prevista dai contratti collettivi.
Pausa pranzo sul lavoro: a chi spetta
Ferme restando le previsioni normative (di cui si parlerà poi) e le eventuali clausole dei contratti collettivi, è a discrezione dell’azienda la concessione di una pausa pranzo ai dipendenti. Di norma questa viene concessa, eventualmente con una distinzione a seconda delle mansioni ricoperte. Si fa ad esempio riferimento ai dipendenti con funzioni impiegatizie rispetto agli operai.
E’ consigliabile per l’azienda fissare un organigramma interno (soprattutto per le aziende di grandi dimensioni) dove per ogni reparto o ufficio si indica l’orario di riferimento e di conseguenza la collocazione della pausa pranzo.
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Durata della pausa pranzo
La durata della pausa pranzo è a discrezione dell’azienda, in considerazione delle esigenze produttive e organizzative. Generalmente, per chi ha funzioni impiegatizie questa non è mai inferiore ad un’ora. Per gli operai invece, soprattutto quelli utilizzati nelle linee produttive, la pausa può ridursi anche a mezz’ora.
Ad ogni modo, la pausa pranzo non eccede normalmente le 2 ore.
Retribuzione della pausa pranzo sul lavoro
La pausa pranzo si qualifica come un periodo di sospensione del lavoro durante il quale non spetta la retribuzione, in considerazione delle previsioni del contratto individuale. Ad esempio se si prevede un orario dalle 8,30 alle 12,30 e dalle 14,00 alle 18,00, l’ora e mezzo di pausa pranzo dalle 12,30 alle 14,00 è ininfluente ai fini della busta paga. Stesso discorso se si prevede un orario dalle 8,30 alle 17, specificando che il dipendente avrà diritto a mezz’ora di pausa.
Al contrario, se l’orario giornaliero è di 8 ore ma dalle 8,30 alle 16,30 con mezz’ora di pausa pranzo, il periodo di non lavoro per la consumazione del pasto è compreso nella retribuzione. In questo caso si parla di pausa pranzo retribuita. Questa opzione è di norma prevista per gli operai addetti alle linee produttive.
Pausa pranzo e contratto di lavoro
Il periodo di pausa pranzo dev’essere indicato nel contratto individuale. All’interno del paragrafo “orario di lavoro” oltre a menzionare l’ammontare delle ore di lavoro settimanali, si dovrà far riferimento anche alla distribuzione giornaliera dell’attività lavorativa.
Ad esempio specificando: “L’orario di lavoro sarà pari a 40 ore settimanali così distribuite:
Lunedì 8,30 12,30 14,00 18,00
Martedì 8,30 12,30 14,00 18,00
Mercoledì 8,30 12,30 14,00 18,00
Giovedì 8,30 12,30 14,00 18,00
Venerdì 8,30 12,30 14,00 18,00
Sabato
Domenica Riposo”.
Cosa prevede la legge in materia di pausa pranzo
La normativa in materia di orario di lavoro (Dlgs. n. 66/2003) prevede per chi ha un orario di lavoro giornaliero superiore alle 6 ore di il diritto godere di una pausa finalizzata:
- Al recupero delle energie psico-fisiche;
- Consumazione del pasto;
- Ad attenuare la monotonia dell’attività lavorativa.
La sua durata è stabilita dai contratti collettivi. In mancanza di previsioni in tal senso, la legge stabilisce che la pausa non possa essere inferiore ai 10 minuti consecutivi.
Nessuna distinzione tra full-time e part-time: la pausa è legata all’orario giornaliero di lavoro.
Di recente il Ministero del Lavoro ha specificato con risposta ad interpello (Interpello n. 2 del 16 aprile 2019) che le ore di riposo per allattamento non vengono considerate utili ai fini del limite di 6 ore giornaliere al superamento delle quali scatta il diritto ai 10 minuti di pausa. Ad esempio, se la dipendente ha svolto 5 ore di lavoro (su un orario teorico di 7) e due ore di allattamento non spettano i 10 minuti di pausa previsti dalla legge.
Quando collocare la pausa
Spetta al datore la decisione su quando collocare i 10 minuti di pausa, tenendo conto delle esigenze produttive ed organizzative dell’azienda. Il periodo di astensione può essere fissato in qualsiasi momento della giornata non necessariamente una volta trascorse le 6 ore di lavoro.
In caso di orario “spezzato” il periodo di pausa può essere assorbito da quello di sospensione dell’attività lavorativa. Ipotizziamo un dipendente con orario a tempo pieno pari a 40 ore settimanali per 5 giorni dal lunedì al venerdì e distribuito nel seguente modo:
- 8,30 – 12,30 lavoro;
- 12,30 – 14,00 pausa pranzo;
- 14,00 – 18,00 lavoro.
Aggiungiamo che il contratto collettivo nulla prevede sulla durata minima della pausa, quindi si applica la legge. In questo caso il limite minimo di astensione pari a 10 minuti viene assorbito dalla pausa pranzo pari ad un’ora e mezzo.
Riposo giornaliero e settimanale
Sempre il Decreto n. 66 stabilisce che ogni dipendente ha diritto a 11 ore di riposo consecutivo ogni 24. Limite peraltro non derogabile da accordi individuali tra azienda e lavoratore. Questo significa che l’orario giornaliero non può superare le 13 ore.
La normativa in materia di orario di lavoro stabilisce il diritto del dipendente di usufruire di un riposo settimanale:
- Di durata pari ad almeno 24 ore consecutive;
- Ogni 7 giorni;
- Che si somma al riposo giornaliero di 11 ore consecutive;
- Di regola coincidente con la domenica.
In deroga al riposo domenicale e ogni 7 giorni, l’azienda può decidere di concedere al dipendente l’astensione in altre giornate e con una diversa cadenza, a patto che nell’arco di 14 giorni vengano concessi due riposi. Per verificare il rispetto della legge, si deve prendere a riferimento l’ultimo giorno di riposo e procedere a ritroso di 13 giorni: in questo arco temporale il dipendente deve aver goduto di un altro giorno di riposo.
Servizio mensa
Durante la pausa pranzo i dipendenti possono godere di un servizio mensa se previsto dall’azienda ovvero imposto dal contratto collettivo nazionale o aziendale.
Il servizio mensa può avere le seguenti modalità:
- Mensa aziendale con gestione propria o affidata in appalto a società esterne;
- Mensa esterna presso strutture convenzionate;
- Concessione di buoni pasto.
In mancanza del servizio mensa l’azienda può concedere un’apposita indennità sostitutiva, che può essere riconosciuta anche in presenza della mensa quando il dipendente non la utilizza.
Leggi anche: Buoni pasto: normativa, come funzionano, importo e tassazione
Peraltro, il servizio mensa gode di un particolare regime di favore sia dal punto di vista contributivo che fiscale. A determinate condizioni la somministrazione di cibi e bevande o il riconoscimento di buoni pasto è esclusa dalla base imponibile INPS e IRPEF.
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