Il datore di lavoro ha l’onere di specificare in apposito atto scritto, in modo circostanziato e puntuale, la causale del contratto a tempo determinato, ossia le esigenze di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che giustificano l’apposizione del termine finale. Solo in questo modo è possibile verificare se il lavoratore sia stato effettivamente adibito ai compiti che si deducono dalle esigenze aziendali. In sostanza, non basta solamente indicare in maniera precisa le ragioni determinative dell’assunzione a termine, ma occorre che le esigenze siano correlate alla diretta utilizzazione del lavoratore nell’ambito e nelle attività indicate ai fini dell’assunzione.
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 22188 del 12 settembre 2018. La pronuncia è di grande rilievo alla luce delle ultime novità introdotte sul contratto di lavoro a tempo determinato dal Decreto Dignità (D.L. 87/2018, convertito nella L. n. 96/2018).
Indicazione causalone contratto a termine: la vicenda
Il caso di specie riguarda un lavoratore assunto con contratto a tempo determinato (c.d. a termine), il quale riteneva che i datore di lavoro aveva apposto al contratto di lavoro una causale non sufficientemente chiara. In pratica, l’assunzione avveniva per “necessità organizzative” ma la stessa causale si sovrapponeva con quelle sostitutive di personale. Dunque, l’indicazione contrattuale era differente rispetto all’effettivo motivo di assunzione a termine.
La Corte d’Appello di Trieste aveva condannato la società a pagare al lavoratore, così come previsto dell’art. 32 comma 5 della legge n. 183/2010, un’indennità onnicomprensiva pari a otto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla costituzione in mora al saldo. Secondi i giudici era equo determinare l’indennità in otto mensili, in considerazione anche al periodo della prestazione e delle dimensioni dell’impresa e del numero dei dipendenti.
Il datore di lavoro impugna la decisione della sentenza di secondo grado per quattro motivi:
- secondo la società i giudici triestini non hanno interpretato in maniera corretta il contenuto dei contratti stipulati con riferimento alle ragioni appositive del termine;
- è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’apposizione del termine (art. 1 D.Lgs n. 368/2001) riguardo alla errata nozione di specificità, in quanto la Corte avrebbe interpretato tale elemento in maniera difforme rispetto al prevalente orientamento giurisprudenziale e dottrinario;
- con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’onere della prova (art. 2697 c.c.), in quanto la Corte territoriale non si era pronunciata sul motivo di gravame inerente la mancata ammissione delle prove testimoniali articolate dalla società nel giudizio di primo grado;
- infine, la società ritiene l’indennità risarcitoria spettante al lavoratore è sproporzionata in relazione alla scarsa considerazione della minima anzianità di servizio della lavoratrice.
Casuale nel contratto a tempo determinato: pronuncia della Cassazione
I giudici della Suprema Corte rigettano il ricorso della società. Gli ermellini rilevano innanzitutto di aver considerato in maniera corretta le ragioni di carattere organizzativo enunciate; tant’è che la stessa società affermava la necessità di utilizzare la lavoratrice per sopperire ad una temporanea carenza di personale “ordinario”.
Dunque si può parlare di difformità tra le indicazioni contrattuali e la realtà della prestazione di lavoro fornita in quel rapporto di lavoro e non certamente di errata interpretazione del contratto.
Inoltre, interpellati precedenti orientamenti giurisprudenziali (Cass. nn. 2680/2015 e 10033/2010) affinché il requisito di “specificazione” sia soddisfatto nel contratto a termine, serve non soltanto la precisa e puntuale indicazione delle ragioni determinative dell’assunzione a termine, ma anche la diretta utilizzazione del lavoratore nell’ambito e nelle attività indicate ai fini dell’assunzione.
Nel caso di specie, tale requisiti non veniva rispettato, in quanto la lavoratrice, era stata adibita a mansioni non direttamente afferenti al Progetto indicato nel contratto, ma allo svolgimento di attività ordinarie evidentemente estranee al progetto, pur realizzato dalla società.