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Contratti a termine nel pubblico impiego: risarcimenti per abusi

Per la Cassazione vanno risarciti i danni arrecati al lavoratore per i contratti a termine nel pubblico impiego per eccessivo ricorso o abusiva successione


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di - 14 Luglio 2016

I lavoratori del pubblico impiego che hanno subito un contratto a tempo determinato illegittimo hanno diritto a un risarcimento “automatico”, di un valore che può oscillare da un minimo di 2,5 a un massimo di 12 mensilità a seconda dell’anzianità di servizio, del comportamento delle parti e degli altri criteri fissati dalle regole sul rapporto di lavoro.

E’ quanto hanno stabilito le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 5072/2016 pronunciandosi in tema della risarcibilità del danno arrecato al lavoratore per i abusi nei contratti a termine nel pubblico impiego in caso di abusivo ricorso ai contratti a termine o di abusiva successione di contratti a tempo determinato.

Abusi nei contratti a termine nel pubblico impiego, risarcimenti automatici

Il principio enunciato dalla Suprema Corte è che: “Nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato, in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione, il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 36, comma 5, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, e quindi nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8″.

La sentenza nasce dal ricorso presentato da due lavoratori a termine presso un’azienda ospedaliera mirante ad ottenere la declaratoria dell’illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi con l’Azienda Ospedaliera  con la qualifica di operatore tecnico-cuoco (ultimo contratto di sei mesi per un lavoratore, decorrente dall’8 gennaio 2002; preceduto da altri quattro contratti; e per il secondo lavoratore,. decorrente dall’11 gennaio 2002, preceduto da altri tre contratti – sempre – tempo determinato, stipulati a decorrere dal 1999) e, la conseguente assunzione a tempo indeterminato,

La Cassazione ribadisce il principio contenuto nella Legge sul pubblico impiego (D.Lgs. 165/2001), confermato dalla Corte costituzionale con sent. nr. 89/2003 per cui, nel pubblico impiego, diversamente da quanto accade nel lavoro privato, l’abuso del contratto a termine non comporta l’automatica trasformazione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato. E questo, in ragione della previsione contenuta nell’art. 97 Cost. che afferma il principio dell’accesso al pubblico impiego attraverso procedure concorsuali.

Tuttavia, per armonizzare quanto previsto dal nostro ordinamento con quanto previsto dalla Direttive Europee che impongono di prevenire gli abusi di contratti a termine, dei rinnovi senza «ragioni obiettive» oppure di sforamento della durata massima o del numero massimo delle proroghe, pur non essendo ammessa la trasformazione del contratto, è riconosciuta la risarcibilità del danno al lavoratore precarizzato con l’eccessivo ricorso ai contratti a tempo determinato.

La Cassazione in questa sentenza chiarisce che, le regole per la determinazione del danno, nel silenzio della legge sono quelle generali previste dall’art. 1223 c.c. secondo cui il risarcimento del danno deve comprendere la perdita subita , nella specie dal lavoratore, e il mancato guadagno. Nella perdita subita non rientra però la mancata conversione del rapporto di lavoro perchè esclusa per legge.

il danno risarcibile al lavoratore pubblico non è un danno da perdita del posto di lavoro dunque, ma, ordinariamente (ma non esclusivamente) è un danno, da perdita di chance nel senso che: ” se la pubblica amministrazione avesse operato legittimamente emanando un bando di concorso per il posto, il lavoratore avrebbe potuto, parteciparvi e risultarvi vincitore. Le energie lavorative del dipendente sarebbero state liberate verso altri lavori e anche in ipotesi verso un lavoro alternativo a tempo indeterminato”.

Si legge nella sentenza che “Il lavoratore che subisce l’illegittima apposizione del termine o, più in particolare, l’abuso della successione di contratti a termine rimane confinato in una situazione di precarizzazione e perde la chance di conseguire, con percorso alternativo, l’assunzione mediante concorso nel pubblico impiego o la costituzione di un ordinario rapporto di lavoro privatistico a tempo indeterminato”.

Sul tema della prova del danno e sulla sua liquidazione, la sentenza fornisce una interpretazione adeguatrice o comunitariamente orientata delle Sezioni Unite, volta a dare consistenza ed effettività alle previsioni del nostro ordinamento sul danno risarcibile. L’indennità risarcitoria prevista dall’art. 32 co 5 Legge 4 novembre 2010, n. 183, per il lavoratore pubblico è in chiave agevolativa;  il lavoratore pubblico è esonerato dalla prova del danno nella misura in cui questo è presunto e determinato tra il minimo ed il massimo previsti dall’articolo 32, comma 5 della Legge n. 183/2010. (e quindi nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto).

La Corte non esclude però che la precarizzazione per anni possa infliggere al lavoratore un pregiudizio che va al di la della semplice perdita di change di una occupazione migliore.In ogni caso l’onere probatorio di tale danno grava interamente sul lavoratore.

Infatti per il lavoratore pubblico l’indennizzo, a differenza di quanto accade per il lavoratore del settore privato, in cui esso ha valenza ristoratrice di tutti i danni subiti (in quanto l’indennizzo si accompagna alla conversione a tempo indeterminato del rapporto), non preclude la risarcibilità di un danno (da perdita di chances o di altra natura) in misura più elevata rispetto a quella presunta in base al citato articolo 32 L.183/2010, purché il lavoratore (in tale misura eccedente) operi le relative allegazioni e fornisca la corrispondente prova.

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Categories: Sentenze Lavoro
Tags: CassazioneContratto a tempo determinatoPubblico ImpiegoSentenze