Cosa prevede la legge per i familiari in caso di decesso del lavoratore prima dell’età pensionabile? Ogni settimana riceviamo domande da lettrici e lettori alle prese con situazioni complesse legate al mondo del lavoro e della previdenza. Oggi rispondiamo alla lettera di un lettore che ci pone una domanda tanto delicata quanto importante:
Gentile redazione di Lavoro e Diritti, mio padre è scomparso a 61 anni, dopo una vita di lavoro. Non era ancora in pensione, ma aveva versato diversi anni di contributi. Vorrei sapere se questi contributi sono persi o se esistono tutele per la famiglia. Grazie per l’aiuto.
Affrontiamo il tema chiarendo che cosa prevede la normativa previdenziale in questi casi e quali possibilità hanno i familiari superstiti.
Cosa succede se il lavoratore muore prima della pensione?
Per accedere alla pensione di vecchiaia nel 2025 servono almeno 67 anni di età e 20 anni di contributi. Esiste poi la pensione anticipata, che richiede 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini (41 anni e 10 mesi per le donne), a prescindere dall’età.
Quando un lavoratore viene a mancare prima di maturare questi requisiti, i suoi familiari superstiti possono contare su due forme di tutela:
- la pensione indiretta, se sussistono determinati requisiti contributivi;
- l’indennità una tantum (nota anche come indennità di morte), quando quei requisiti non sono soddisfatti.
La pensione indiretta
Se il lavoratore deceduto aveva almeno 15 anni di contributi, oppure 5 anni di cui almeno 3 maturati nei 5 anni precedenti il decesso, i suoi familiari possono richiedere la pensione indiretta.
Ne hanno diritto:
- il coniuge superstite;
- i figli minorenni o studenti;
- in mancanza, genitori, fratelli o sorelle a carico.
La pensione può essere ridotta se il beneficiario ha altri redditi. Nel 2025, il limite è pari a 23.671,68 euro annui. Se i redditi superano questa soglia, l’importo della pensione può essere ridotto, salvo la presenza nel nucleo familiare di figli minori, studenti o disabili.

L’indennità di morte (una tantum)
Quando il lavoratore non ha raggiunto i requisiti minimi per la pensione indiretta, i familiari possono richiedere un’indennità una tantum, ossia un contributo economico pagato una sola volta.
L’importo si calcola moltiplicando l’assegno sociale mensile (538,92 euro nel 2025) per gli anni di contributi versati dal lavoratore, anche se inferiori a un anno (in questo caso in proporzione).
L’indennità spetta solo se:
- il defunto era iscritto nel sistema contributivo puro (senza contributi prima del 1996);
- i superstiti non percepiscono una rendita INAIL per lo stesso evento;
- il reddito individuale del beneficiario non supera i limiti previsti per l’assegno sociale (6.085,43 euro per singoli, 12.170,86 euro per coniugati).
Se ci sono più superstiti e uno non ha i requisiti di reddito, la sua quota viene redistribuita agli altri.
La domanda va presentata all’INPS
La pensione indiretta e l’indennità una tantum non vengono erogate automaticamente. È necessario presentare domanda all’INPS, anche tramite patronato.
Conclusione
Alla morte di un lavoratore non ancora in pensione, i contributi versati non vanno automaticamente persi. La normativa prevede forme di tutela per i familiari, che possono variare in base alla quantità e alla qualità dei contributi versati.
In presenza di determinati requisiti, è possibile ottenere una pensione indiretta. In mancanza, può essere riconosciuta una somma una tantum se il lavoratore rientra nel sistema contributivo.
Hai un dubbio su previdenza, pensioni o lavoro? Scrivici anche tu: ogni settimana rispondiamo alle domande più utili nella rubrica La Posta di Lavoro e Diritti.