Il 2026 potrebbe rappresentare un anno di svolta per il sistema pensionistico italiano. La discussione sulla Manovra lascia intravedere un riassetto complessivo delle misure di anticipo pensionistico, con alcune uscite storiche destinate a scomparire e altre pronte a consolidarsi.
In un contesto in cui l’età pensionabile ordinaria è destinata a crescere, comprendere quali strumenti resteranno realmente disponibili diventa fondamentale per chi valuta di lasciare il lavoro prima dei 67 anni.
Opzione Donna: verso la possibile fine?
Tra le misure più a rischio c’è Opzione Donna, che per anni ha rappresentato una soluzione dedicata alle lavoratrici con carriere discontinue. Il mancato rifinanziamento e l’assenza delle coperture necessarie segnano con molta probabilità la fine dello strumento dal 2026.
Pur avendo subito restrizioni sempre più severe e riguardato un numero limitato di beneficiarie, Opzione Donna ha permesso a molte lavoratrici di compensare periodi caratterizzati da part-time involontari, maternità o attività di cura familiare. L’archiviazione della misura comporterebbe la scomparsa dell’unico canale di anticipo strutturato su requisiti specificamente femminili.
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Quota 103: tra proroga e superamento
Il destino di Quota 103 rimane incerto. Attualmente permette l’uscita a 62 anni con almeno 41 anni di contributi, ma applica il calcolo integralmente contributivo dell’assegno, spesso penalizzante. La misura non è stata inclusa tra gli strumenti automaticamente prorogati per il 2026, lasciando aperta la possibilità di un superamento.
La discussione parlamentare continua a sollevare ipotesi di mantenimento, segno che il dibattito è ancora in corso. Tuttavia, l’eventuale abolizione obbligherebbe molti lavoratori con carriere lunghe a confrontarsi con requisiti più rigidi.

Ape sociale: la misura è destinata a rimanere
In un quadro di riordino complessivo, l’Ape sociale appare come l’unica misura con elevata probabilità di conferma. Introdotta nel 2017 come sostegno temporaneo, permette a disoccupati di lungo corso, caregiver, invalidi e addetti a mansioni gravose di ottenere un assegno-ponte fino alla pensione di vecchiaia.
L’accesso è riservato a chi ha almeno 63 anni e cinque mesi e un’anzianità contributiva compresa tra 30 e 36 anni. Pur trattandosi di una platea relativamente ristretta, la misura si è dimostrata compatibile con i vincoli di spesa, elemento che ne rafforza la stabilità.
Pensione anticipata ordinaria e Pensioni per i lavoratori precoci e usuranti
Restano confermate anche le misure per i lavoratori precoci e per chi svolge mansioni usuranti. In questi casi è possibile accedere alla pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica, ma solo a condizione di rientrare in categorie ben definite e soggette a requisiti particolarmente stringenti.
Anche il principale canale di uscita anticipata continuerà a essere quello previsto dalla normativa ordinaria: 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne, senza limiti di età.
Dal 2027 entreranno in vigore i nuovi adeguamenti legati alla speranza di vita, destinati ad aumentare ulteriormente di 3 mesi i requisiti.
Pensione anticipata contributiva: l’opzione per i lavoratori post-1995
Coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1996 in poi possono accedere alla pensione anticipata contributiva a 64 anni, con almeno 20 anni di contributi effettivi e un importo minimo pari a tre volte l’assegno sociale.
Una novità importante è la possibilità di includere, nel calcolo del requisito economico, le rendite generate dalla previdenza complementare.
La nuova proposta di valorizzare stage e tirocini ai fini contributivi
Tra le novità più attese c’è l’ipotesi di rendere riscattabili, ai fini pensionistici, i periodi di stage e tirocinio non retribuiti o privi di copertura contributiva. Il meccanismo, simile al riscatto della laurea, permetterebbe alle generazioni più giovani di recuperare mesi preziosi nella costruzione dell’anzianità contributiva.
L’obiettivo è evitare che l’ingresso nel mondo del lavoro attraverso percorsi formativi privi di contributi comporti penalizzazioni permanenti e porti molti lavoratori ad arrivare alla soglia dei 67 anni con una carriera troppo frammentata.
Pensione anticipata con il TFR: solo una ipotesi per ora
Negli ultimi mesi è tornata nel dibattito politico l’idea di utilizzare il TFR come strumento per anticipare l’uscita dal lavoro, permettendo ai lavoratori di integrare l’importo dell’assegno per raggiungere la soglia minima richiesta dalla pensione anticipata contributiva. In teoria, convertire il TFR in una rendita potrebbe aiutare chi non arriva al valore previsto per accedere al pensionamento a 64 anni.
Si tratta però di una misura ancora solo ipotizzata, e che secondo molti osservatori appare difficilmente praticabile per la maggior parte dei lavoratori, soprattutto quelli con carriere discontinue o redditi medio-bassi. Le soglie economiche richieste sono elevate e la proposta, secondo i sindacati, rischia di trasformarsi in una soluzione per pochi.
Ad oggi, dunque, la “pensione anticipata con il TFR” resta un’ipotesi non confermata e con scarse possibilità di applicazione su larga scala. Fino a nuovi chiarimenti normativi, non può essere considerata una reale via d’uscita anticipata per il 2026.
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Conclusioni: cosa cambia davvero per chi vuole uscire prima dal lavoro nel 2026
Il 2026 si prospetta come un anno di transizione verso un sistema più rigido e più orientato alla sostenibilità. La probabile eliminazione di Opzione Donna e il possibile superamento di Quota 103 riducono le vie di uscita flessibili, mentre misure mirate come Ape sociale, anticipata ordinaria e anticipata contributiva appaiono destinate a consolidarsi.
Per chi sta pianificando l’uscita dal lavoro, diventa essenziale valutare con precisione i contributi maturati, l’appartenenza a categorie tutelate e le opportunità offerte da eventuali riscatto dei periodi formativi. In un contesto in cui l’età pensionabile è destinata a salire, programmare con anticipo è l’unico modo per non trovarsi impreparati.
