La Cassazione, con sentenza nr. 22611 dell’11 giugno 2012 ha stabilito che non è più reato videosorvegliare i lavoratori se vi è l’espresso consenso di questi ultimi, a prescindere dall’eventuale consenso delle RSU.
La decisione della terza sezione penale della Cassazione, segna una svolta della giurisprudenza sul tema della videosorveglianza dei lavoratori che, fino ad oggi, ha sempre condannato l’utilizzo di mezzi di controllo a distanza da parte del datore di lavoro. Ma andiamo per ordine.
Il caso è arrivato in cassazione a seguito di ricorso della legale rappresentante di una società, avverso la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Pisa, per violazione dell’art. 4 della Legge 300/1970 (cd. Statuto dei lavoratori) per avere appunto, in qualità di legale rappresentante di una società, fatto installare un sistema di videosorveglianza composta da quattro telecamere due delle quali inquadranti direttamente postazioni di lavoro fisse occupate da dipendenti.
Gli Ermellini ricordano, intanto, le disposizioni dell’art 4 Statuto dei lavoratori che, al secondo comma dispone espressamente: “Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l’uso di tali impianti”.
Nel caso di specie, l’azienda aveva istallato le videocamere dopo aver acquisito l’assenso di tutti i dipendenti attraverso la sottoscrizione da parte loro, di un documento esplicito.
Secondo la Corte, la mancanza di autorizzazione da parte della RSU o, della commissione interna, non inficia la validità di un “ consenso chiaro ed espresso proveniente dalla totalità dei lavoratori e, non solo da una rappresentanza”.
L’interpretazione della norma, deve sempre avvenire tenendo presente la finalità che essa intende perseguire. Se è vero, continuano i giudici “ che la disposizione di cui all’art. 4 intende tutelare i lavoratori contro forme subdole di controllo della loro attività da parte del datore di lavoro e che tale rischio viene escluso in presenza di un consenso di organismi di categoria rappresentativi (RSU o commissione interna), a fortiori, tale consenso deve essere considerato validamente prestato quando promani proprio da tutti i dipendenti”.
Una tale interpretazione, non cozza nemmeno con il principio di costante giurisprudenza, secondo ci integrano il reto di cui all’art 4 e 38 Statuto di lavoratori, anche gli impianti audiovisivi non occulti essendo sufficiente la semplice idoneità del controllo a distanza dei lavoratori; perchè, anche in questo caso, si è sottolineato che ciò vale sempre che avvenga “senza accordo con le rappresentanza sindacali”.
In altri termini, ciò vuol dire che, l’esistenza di un consenso validamente prestato dal titolare del bene protetto (ossia dal lavoratore), esclude l’integrazione dell’illecito.
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