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Home»Sentenze Lavoro»Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e tutela reale

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e tutela reale

Daniele Bonaddio18 Marzo 20193 Mins Read
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La Cassazione ha individuato i paletti di applicazione della “tutela reale”, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo

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Sentenza della Cassazione

Quando il lavoratore è ingiustamente licenziato per giustificato motivo oggettivo, scatta solamente l’indennizzo risarcitorio? Non sempre. Se l’estremo provvedimento del datore di lavoro è giudicato “manifestamente insussistente” sul piano fattuale, il giudice non ha margine di scelta tra il semplice indennizzo economico per compensare il risarcimento del danno subito dal lavoratore o la reintegra sul posto di lavoro. Infatti, in tali casi, scatta sempre la c.d. “tutela piena” in favore del lavoratore. Quindi il datore di lavoro è costretto a riprendere con sé il dipendente licenziamento, più a pagare un indennizzo risarcitorio.

A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7167 del 3 marzo 2019. Ecco cosa hanno detto nel dettaglio i giudici cassazionisti.

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: la vicenda

Nel caso di specie, una dipendente era stata licenziata per giustificato motivo oggettivo, poiché il posto di lavoro alla quale era stata adibita è stato soppresso. La posizione della lavoratrice veniva meno, in quanto la parte datoriale aveva deciso di esternalizzare alcune attività, ragione per cui le sue competenze divenivano superflue.

La dipendente impugna il provvedimento del datore di lavoro e agisce per vie legali. Riformando la sentenza di primo gradi, la Corte d’Appello di Roma ha dato ragione alla dipendente giudicando il licenziamento illegittimo. Gli ermellini, infatti, hanno osservato come, in realtà, il licenziamento era stato premeditato, poiché la dipendente licenziata, così come gli altri colleghi, erano stati collocati volontariamente nel reparto destinato a essere soppresso.

Inoltre, come non vi era alcun nesso causale tra l’esternalizzazione dei servizi e il profilo della dipendente. Tra l’altro, la dipendente proveniva da un reparto aziendale non a rischi di riorganizzazione. In definitiva, per i giudici romani il licenziamento era stato ricondotto alla fattispecie del fatto manifestamente insussistente e la dipendente reintegrata in servizio.

Il caso finisce nelle aule della Corte di Cassazione.

Licenziamento per GMO: il caso

La Corte di Cassazione conferma la sentenza di secondo grado e respinge il ricorso del datore di lavoro. Secondo i giudici, qualora si verificano gli aspetti del licenziamento “manifestamente insussitente”, non è possibile optare tra la tutela reale o l’indennità risarcitoria. In tali casi, infatti, scatta in ogni caso la massima tutela per il lavoratore, cosi come previsto dall’art. 18, co. 4 della L. n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori).

Il disposto normativo obbliga al datore di lavoro:

  • alla reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro in precedenza occupato;
  • e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del recesso sino a quello della effettiva reintegrazione, entro il limite delle 12 mensilità.

Ciò si applica esclusivamente nell’ipotesi in cui si accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

In altre parole, non è a discrezione del giudice scegliere se applicare

  • la reintegra (in aggiunta all’indennità risarcitoria fino ad un massimo di 12 mensilità);
  • ovvero, semplicemente per l’indennizzo risarcitorio compreso tra le 12 e le 24 mensilità.

In definitiva, se la motivazione che ha provocato il licenziamento è manifestamente insussistente, il giudice non può fare altro che applicare la tutela piena in favore del lavoratore.

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