La Cassazione ha confermato che in caso di infortunio sul lavoro è il datore di lavoro che deve provare di aver messo in atto tutte le misure di sicurezza sul lavoro necessarie a garantire l’integrità fisica dei lavoratori, con particolare riguardo al tipo di lavorazione e all’ambiente in cui si svolge il lavoro. *
Il caso specifico ha riguardato un infortunio sul lavoro a seguito di uno scivolamento dovuto alla presenza sul pavimento e sulle scale di acqua e di fanghiglia che rendevano particolarmente scivoloso il luogo di lavoro.
Il lavoratore a seguito dell’infortunio sul lavoro aveva intentato una causa all’azienda per richiedere il risarcimento dei danni biologico, morale ed esistenziale, pari a 250.000 euro, ma sia il tribunale di primo grado, che la Corte d’appello avevano respinto tale richiesta in quanto, a loro avviso, il lavoratore non era riuscito a dimostrare la causa specifica dello scivolamento e la relativa colpa del datore di lavoro.
Il lavoratore è quindi ricorso in Cassazione prospettando 8 motivazioni per cui a suo avviso la decisione della Corte d’Appello presentava dei vizi. La suprema Corte ha quindi accolto il ricorso cassando la decisione della corte territoriale per i seguenti motivi.
Infortunio sul lavoro e prova liberatoria del datore
Per la Cassazione, la Corte d’Appello avrebbe dovuto tenere conto della mancanza della prova liberatoria da parte del datore di lavoro. Infatti la responsabilità dell’impresa per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l’integrità fisica del lavoratore discende o da norme specifiche, oppure, più in generale dall’articolo 2087 del codice civile, il quale recita «L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».
L’art. 2087 del codice civile – si ricorda nella sentenza – è di chiusura del sistema antinfortunistico estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate e valutate dal legislatore al momento della sua formulazione.
Per gli Ermellini, non è sufficiente che il datore di lavoro osservi le regole antinfortunistiche o di carattere igienico sanitarie per tutelare il lavoratore ma, deve fare qualcosa in più. Nella valutazione dei rischi, infatti il datore di lavoro è il protagonista della funzione di prevenzione, cioè il fulcro della reale ed efficace organizzazione aziendale della prevenzione.
Deve cioè adottare tutte quelle misure che preservino i lavoratori da qualsiasi danno che possa provenire dalla lesione dell’integrità dell’ambiente o anche in relazione ad eventi non direttamente collegati con l’attività lavorativa e quindi, alla probabilità di concretizzazione del rischio.
Per tali ragioni la Cassazione ribalta le decisioni dei tribunali di primo e secondo grado, stabilendo che l’onere della prova grava sul datore di lavoro, in quanto è lui che avrebbe dovuto dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno (prova liberatoria) attraverso l’adozione di cautele previste in via generale e specifica dalle norme antinfortunistiche, di cui il ricorrente deduce la violazione, dovendosi ritenere la sussistenza del nesso causale tra l’infortunio del lavoratore e l’attività svolta in un ambiente in cui per la scivolosità del pavimento, dovuta al tipo di lavorazione svolta, era altamente probabile, che non adottando ogni cautela prescritta si verificassero eventi dannosi ai lavoratori.
* Sentenza Cassazione n. 10145/17
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