Con la sentenza n. 13525 del 20 maggio 2025, la Corte di Cassazione interviene in modo netto su una pratica diffusa e spesso tollerata: l’erogazione mensile del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) direttamente in busta paga. Secondo i giudici di legittimità, questo meccanismo non solo è contrario alla legge, ma comporta la trasformazione giuridica del TFR in vera e propria retribuzione, con tutte le implicazioni previdenziali e fiscali che ne derivano.
La pronuncia si inserisce in un solco interpretativo ormai consolidato, che tutela la funzione propria del TFR come forma di accantonamento differito, non assimilabile a una normale voce retributiva mensile.
Il caso: TFR mensile senza causale né limiti
La vicenda nasce da un contenzioso tra una società e l’INPS. L’azienda, con accordi individuali, corrispondeva mensilmente ai propri dipendenti una quota di TFR maturata, senza indicare causali specifiche e senza rispettare i limiti stabiliti dalla legge (anzianità minima, tetto massimo del 70%, una tantum). L’Istituto previdenziale, ravvisando un aggiramento delle regole, ha chiesto il pagamento dei contributi previdenziali su queste somme, ritenendole non più TFR, ma retribuzione ordinaria.
La Corte d’Appello aveva dato ragione al datore, invocando l’ultimo comma dell’art. 2120 c.c., che consente accordi di miglior favore. Ma la Cassazione ha ribaltato la sentenza.
La decisione della Cassazione
La Suprema Corte chiarisce un punto cruciale: la mensilizzazione sistematica e priva di giustificazione del TFR non è un’anticipazione legittima, bensì una modifica strutturale della natura del TFR stesso. In tal caso, le somme corrisposte perdono la loro funzione di trattamento differito e diventano a tutti gli effetti componenti della retribuzione corrente.
Questo cambio di qualificazione ha effetti rilevantissimi:
- Obbligo contributivo pieno: poiché la retribuzione mensile è interamente assoggettata a contribuzione, le somme indebitamente classificate come TFR vanno incluse nella base imponibile;
- Inapplicabilità delle esenzioni previste per il TFR ai sensi dell’art. 12, co. 4 della L. n. 153/1969;
- Irrilevanza dell’accordo individuale: l’autonomia contrattuale, secondo la Corte, non può spingersi fino a snaturare un istituto legale come il TFR.
Il TFR non è una “integrazione allo stipendio”
La Cassazione ribadisce con forza che il TFR è un istituto autonomo, con finalità specifiche:
- Costituire una forma di risparmio forzoso per il lavoratore;
- Fornire un supporto economico alla cessazione del rapporto;
- Offrire, in casi eccezionali e regolati, un’anticipazione mirata (es. spese mediche, acquisto prima casa, con almeno 8 anni di anzianità).
Concederne il pagamento mensile equivale a svuotarne il senso e la funzione, riducendolo a un puro flusso di cassa immediato.
Conseguenze per le aziende: un cambio di rotta necessario e un grosso rischio
La sentenza n. 13525/2025 costituisce un precedente autorevole che non può essere ignorato da datori di lavoro, consulenti del lavoro e responsabili HR. In particolare:
- Le aziende che hanno adottato il pagamento mensile del TFR dovranno interrompere immediatamente la prassi e rivedere i contratti individuali;
- Sarà necessario procedere con regolarizzazioni contributive, anche retroattive, per evitare sanzioni;
- Gli organi di vigilanza (Ispettorato del Lavoro, INPS) potrebbero attivare controlli mirati, come preannunciato dalla Nota INL n. 616/2025, già in linea con l’orientamento della Cassazione.
Il TFR mensile non è “di miglior favore”
Un altro aspetto interessante della pronuncia riguarda l’interpretazione dell’ultimo comma dell’art. 2120 c.c., secondo cui le parti possono pattuire condizioni più favorevoli. Secondo la Cassazione, tale facoltà non può spingersi fino a “contraddire la logica stessa dell’anticipazione”: ampliare i limiti quantitativi o le causali è possibile, ma non trasformare la natura del trattamento.
In sostanza, l’eccezione (anticipazione) non può diventare la regola (mensilizzazione).
Implicazioni pratiche e previdenziali
Per i professionisti e le aziende, questa sentenza chiarisce che:
- L’erogazione mensile del TFR va qualificata come retribuzione, con obbligo di contribuzione piena;
- Le anticipazioni possono essere concesse solo in presenza dei requisiti fissati dal Codice Civile;
- Gli accordi individuali non bastano a legittimare pratiche contrarie alla norma.
Verso un ritorno all’ortodossia del TFR
La sentenza 13525/2025 chiude il cerchio attorno a un comportamento aziendale finora poco regolato, ma diffusamente praticato sotto l’errata etichetta della “flessibilità negoziale”. Con questa pronuncia, la Cassazione resta fedele al ruolo originario del TFR, che è quello di garantire un paracadute economico al lavoratore, e non di integrarne lo stipendio corrente.
L’indicazione per il futuro è chiara: il TFR deve restare “fine rapporto”, e ogni deroga strutturale a questo principio espone le imprese a rischi contributivi, fiscali e legali rilevanti.

Il monito dell’Ispettorato: TFR mensile senza base normativa è illecito
Oltre alla Cassazione, anche l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha preso posizione sul tema. Con la Nota n. 616 del 3 aprile 2025, l’INL ha stigmatizzato la pratica, emersa durante attività ispettive, di corrispondere il TFR mensilmente in busta paga senza il rispetto dei presupposti di legge.
L’Ispettorato chiarisce che:
- Il TFR conserva la funzione di sostegno economico alla cessazione del rapporto;
- Non può essere trasformato in un’erogazione ordinaria e costante;
- È necessario che esista una base normativa o contrattuale specifica che giustifichi l’anticipazione, la quale deve restare un’eccezione regolata e non una forma surrettizia di integrazione retributiva.
La Nota INL rafforza, così, l’orientamento già espresso dalla giurisprudenza: senza causali, limiti e criteri stabiliti dall’art. 2120 c.c., il TFR mensile non è un’anticipazione, ma una violazione normativa, con potenziali conseguenze sul piano sanzionatorio e previdenziale.
Leggi anche: Nota INL n. 616 del 3 aprile 2025
Allegati
Per maggiori informazioni rimandiamo alla lettura della Sentenza di Cassazione n. 13525 del 20 maggio 2025.
Sentenza di Cassazione n. 13525 del 20 maggio 2025 (3,0 MiB, 0 hits)